Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 1 marzo 2014

Una via di uscita dal tunnel europeo

di Mario Pianta               
Euro tunnel/3 Una moneta senza Stato, la Bce che protegge la finanza dall'inflazione, salva le banche fallite e non protegge dalla recessione. Ma cosa accadrebbe se si tornasse alle valute nazionali?
Se guardiamo indietro, abbiamo venticinque anni di politiche monetarie sbagliate, che hanno fondato su mercato e moneta unica l’intera costruzione europea, abbandonando via via occupazione, modello sociale, diritti, democrazia. Appena dietro di noi abbiamo la più grave crisi del capitalismo dal 1929, da cui nasce la depressione attuale. I paesi che hanno provato a uscirne – Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone – l’hanno fatto creando nuove bolle speculative per la finanza, alimentate dall’introduzione di un’enorme liquidità nell’economia mondiale. Se guardiamo avanti, il buio è fitto. Le promesse di ripresa dell’economia sono state finora illusorie e riguardano soprattutto pochi paesi del nord Europa. A Bruxelles, Berlino e Francoforte la politica resta immutabile: per la periferia d’Europa austerità fiscale, un debito insostenibile anche se gli spread calano, politica monetaria rigida, mano libera per la finanza. Ci muoviamo in un lunghissimo tunnel da cui sembra impossibile uscire.
È il tunnel dell’euro, di una moneta senza stato, di una Banca centrale che protegge la finanza dall’inflazione ma non sa affrontare la recessione, che salva le banche fallite ma rifiuta di sostenere il debito degli stati. È il tunnel di un’Europa asimmetrica nelle forze produttive e nel potere politico, che produce squilibri e ne scarica i costi sulle periferie, costrette a imitare l’impossibile modello d’esportazione della Germania. Il tunnel di una politica – anche quella del nuovo governo di Matteo Renzi, al centro dello speciale della settimana scorsa – che ripete annunci illusori sulla fine della crisi e sui tagli alle tasse, ossessionata dall’austerità quando la disoccupazione giovanile arriva al 40%, una politica che di fronte alle reazioni anti-europee sceglie di cavalcare anch’essa le pulsioni populiste.
Guardando fuori d’Europa il buio è ancora più vasto. L’inizio della restrizione monetaria negli Usa ha già provocato in molti paesi emergenti fughe di capitali, recessione, svalutazioni. Nei confronti del dollaro, nell’ultimo anno la valuta del Brasile si è svalutata del 17%, quelle di India, Indonesia, Russia e Sudafrica di circa il 20%, la lira turca del 22%, il peso argentino del 60%. Sono tutti paesi inondati di capitali dai paesi ricchi che ora si trovano indebitati con l’estero, debiti da rimborsare in valute più costose e a tassi d’interesse crescenti: si direbbe che si prepara una nuova versione della crisi del debito del Terzo mondo degli anni ’80. Facile immaginare che se in Italia avessimo nuovamente la lira, anch’essa sarebbe in balìa della speculazione, con i prezzi delle importazioni gonfiati dalla svalutazione, l’export depresso dalla crisi internazionale, i capitali in fuga da un paese che non cresce da vent’anni.
Non ci sono scorciatoie – come la nostalgia per la lira per uscire dal tunnel. Al di là degli errori commessi sull’euro – che Sbilanciamoci! denunciava già nel suo Rapporto 2002 – il tunnel in cui siamo rinchiusi è cementato dal potere lasciato alla finanza e dall’ideologia del mercato, traccia il trentennio liberista che ci ha portato alla depressione. Se ne può uscire soltanto con un cambiamento profondo del modello economico e dell’orizzonte politico.
È nel mezzo di questo tunnel che andremo al voto alle elezioni europee. Un tentativo di procedere a piccoli passi è quello che propone nell’intervista a pagina due di questo speciale Martin Schultz, candidato socialdemocratico alla presidenza della Commissione europea. Troppo poco e troppo tardi, a sei anni dall’inizio della crisi. L’alternativa di Sbilanciamoci! e della Rete europea degli economisti progressisti (Euro-pen) è presentata a pagina tre: un’unione monetaria da ricostruire con nuove regole per la Banca centrale europea, una garanzia comune sul debito pubblico con l’emissione di eurobond e forme di controllo sui movimenti di capitali, limitando la libertà d’azione della finanza. E, naturalmente, meno poteri ai banchieri e a Berlino, e più democrazia nelle scelte economiche, aprendo la strada alla fine dell’austerità e a politiche industriali e del lavoro disegnate per uno sviluppo sostenibile sul piano sociale e ambientale.
Sono le proposte di cambio di rotta che saranno discusse il 19 marzo al Forum "Un’altra strada per l’Europa" al Parlamento europeo, che qui presentiamo. A discuterne – con esperti, movimenti e sindacati – ci saranno europarlamentari e politici della sinistra – Syriza compresa – verdi e socialdemocratici. Un’occasione per risvegliare la politica, a Bruxelles come a Roma, dare contenuti al dibattito sul voto europeo, e cercare davvero l’uscita dall’euro-tunnel.
 
La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: www.sbilanciamoci.info.

giovedì 27 febbraio 2014

Arriva il (finto) partito della Troika

Fonte: sbilanciamoci | Autore: Andrea Baranes     

“Vota per noi e non dovrai votare mai più”. È uno degli slogan con cui irrompe sulla scena europea, in vista delle elezioni di maggio, il Partito della Troika. I messaggi sono chiari, There Is No Alternative, non c'è alternativa: l'austerità è l'unica strada, e di fronte a Stati spendaccioni e inefficienti sono Banca Centrale Europea, Fmi e Commissione europea a indicare la via. Istituzioni che oggi finalmente decidono di scendere in campo e di mettersi in gioco, candidandosi alle elezioni per il Parlamento europeo.
La campagna è stata lanciata in contemporanea in molti Paesi europei, tramite il sito troikaparty ( http://troikaparty.eu/ ) dove è possibile trovare materiali, cartoline e analisi sulle posizioni del Partito della Troika e per un'Europa in cui “una competizione fino alla morte con Cina e Bangladesh sul piano del costo del lavoro è l'unica via per la felicità”. Nella propria presentazione, viene sottolineato come “subiamo ancora il peso di sistemi di welfare e di volere proteggere i diritti umani e legislazioni ambientali che non ci consentono di competere come vorremmo. Ora dobbiamo ridurre le spese inutili e stravaganti, come quelle per i servizi pubblici essenziali. L'Europa spreca troppi soldi per la sanità o la scuola, mentre tali risorse servono per finanziare le banche e risolvere i loro piccolissimi problemi”.
Chiariamo: si tratta evidentemente di un'iniziativa goliardica e satirica. Non esiste nessun “Partito della Troika” che si presenta in Europa o altrove. L'idea è nata durante gli incontri dell'Alter Summit ed è stata poi sostenuta e sviluppata da molte organizzazioni e reti europee da tempo impegnate a denunciare gli impatti delle politiche di austerità e delle decisioni delle istituzioni europee e internazionali.
Se l'iniziativa è goliardica, quindi, l'obiettivo è serissimo: mettere in evidenza le assurdità dell'attuale modello europeo. Assurdità tanto nel merito quanto nei processi. Nel merito denunciare come l'austerità sia il problema, non la soluzione. Come in tutti i Paesi che hanno applicato le dottrine imposte dalla Troika, non solo gli impatti sociali sono stati enormi, a partire dall'aumento della disoccupazione, ma anche lo stesso rapporto debito / Pil che si intendeva fare scendere sta continuando a peggiorare. Eppure da parte dei burocrati europei, a oggi, nessun ripensamento, nessuna alternativa. Si continua ad applicare una teoria economica fallimentare con un'ostinazione che rasenta il fanatismo.
Riguardo i processi decisionali in Europa, poi, l'iniziativa mette in luce la debolezza di un Parlamento europeo, unico soggetto democraticamente eletto dai cittadini, che non ha potere legislativo, mentre le decisioni vengono assunte in altri luoghi, e in particolare proprio dalle istituzioni che compongono la Troika. Ecco allora che un “partito della Troika” che si presenta alle elezioni per il Parlamento europeo evidenzia il peccato originale dei meccanismi europei, creando un corto circuito tra le istituzioni del vecchio continente.
Un paradosso, per stimolare una riflessione sui cambiamenti necessari e per la richiesta di un diverso modello europeo. Perché il paradosso maggiore è che oggi il “partito della Troika” non ha bisogno di elezioni per rappresentare e decidere per conto dei cittadini europei.

Governo, Renzi ora lasci la società di famiglia ...

.... e il trucco per la doppia pensione

Nel 2003, quando l'allora coordinatore fiorentino della Margherita fu candidato alla presidenza della Provincia, l'attuale premier si fece assumere dall'azienda dei genitori: così i contributi sono stati a carico degli enti che ha guidato dal 2004 a oggi

Matteo Renzi
Matteo Renzi, ora che ha ottenuto la fiducia, dovrebbe fare un gesto fondamentale per la sua credibilità: dimettersi dalla società di famiglia. Come il Fatto ha già scritto, Renzi ha ottenuto il diritto alla pensione grazie a un trucco: nel 2003, quando l’Ulivo decise di candidarlo alla Provincia di Firenze (elezione sicura nel giugno 2004) Renzi si fece assumere dalla società di famiglia nella quale era un semplice collaboratore. La Chil Srl si occupava di marketing e vendita dei giornali ai semafori con gli strilloni. Il padre e la madre l’avevano fondata nel 1993 e avevano ceduto nel 1997 le quote ai figli Matteo (40 per cento) e Benedetta (60 per cento). Quando matura la candidatura alla Provincia, Matteo è solo un co.co.co. Se fosse rimasto un collaboratore non avrebbe maturato i 10 anni di contributi pensionistici da dirigente né avrebbe avuto diritto alle cure mediche gratuite e al Tfr.
Per regalare questo vantaggio al figliolo, babbo Tiziano e mamma Laura lo assumono e lo pagano come dirigente per pochi mesi, per poi metterlo in aspettativa. Così i contributi sono a carico della Provincia, e del Comune dal 2009, che nel 2013 pagava 3mila e 200 euro al mese per il suo sindaco. Così, grazie a una somma stimabile in circa 350mila euro versata dagli enti locali per lui in dieci anni, Renzi oggi è un trentenne fortunato dal punto di vista assistenziale e pensionistico.
Se non può essere definita una truffa allo Stato, quella realizzata da Renzi, è una truffa alla ratio, allo scopo alto dello Statuto dei lavoratori del 1970. Il dubbio che sorge leggendo la cronologia di quelle giornate è che nel 2003 abbia usato la norma nata per garantire la partecipazione alle elezioni ai lavoratori per ottenere una pensione e un Tfr ai quali – fino a pochi giorni prima della sua candidatura – non aveva diritto.
Il 17 ottobre 2003 Matteo Renzi e la sorella vendono le quote della Chil alla mamma e al papà. Il 27 ottobre mamma Laura assume in Chil l’ex socio Matteo. Il co.co.co. diventa dirigente un giorno prima che l’Ansa batta la notizia: “Il coordinatore provinciale della Margherita Matteo Renzi per la presidenza della Provincia di Firenze e Leonardo Domenici per la poltrona di sindaco della città sono le candidature proposte alla coalizione dalla Margherita”. Il 30 ottobre, tre giorno dopo l’assunzione, l’Ansa racconta “la positiva accoglienza degli alleati della candidatura a presidente della Provincia del giovane Renzi”. Il 4 novembre, 8 giorni dopo l’assunzione, arriva l’ufficializzazione. Quello stesso anno anche il sindaco di Tortona, Francesco Marguati, viene eletto e assunto nella società di famiglia. Però nel 2008 Marguati e la figlia Michela sono stati condannati in primo grado a 16 mesi e 8 mesi per concorso in truffa aggravata ai danni del Comune. Il sindaco si era fatto assumere dalla figlia 22 giorni prima di assumere la carica. Per il pm, un rapporto di lavoro fittizio che “costava” al Comune 23 mila euro all’anno di contributi. Ogni storia fa caso a sé e comunque nel 2010, la Corte d’Appello di Torino ha assolto l’ex sindaco di Tortona. Intanto, nell’ottobre 2010 quando la Chil Srl viene ceduta, il ramo d’azienda con dentro il sindaco in aspettativa resta in famiglia: Matteo viene ceduto con il ramo marketing alla Eventi 6 della mamma e delle sorelle. Così il Tfr pagato dai contribuenti fino al 2010, pari a 28.300 euro, resta in famiglia.
Renzi non è l’unico furbetto: Josefa Idem è stata assunta dall’associazione del marito 15 giorni prima della sua candidatura nel 2006, Nicola Zingaretti è stato assunto dal comitato del Pd alla vigilia della sua candidatura ed entrambi sono usciti indenni dalle denunce. L’ex assessore provinciale di Vicenza, Marcello Spigolon, è stato rinviato a giudizio per truffa. Le vicende e le interpretazioni dei magistrati sono diverse ma la questione non è giudiziaria bensì politica. Renzi deve dimettersi dalla Eventi 6 perché la storia della sua pensione a sbafo da martedì non è più un peccato di gioventù.
Oggi Renzi è il presidente del Consiglio, ha diritto a una retribuzione (tra indennità e diaria) di circa 12mila euro lordi con un trattamento pensionistico simile a quello dei parlamentari. Entro il 2018 sarà quasi certamente parlamentare e alla fine della carriera avrà diritto al vitalizio. In qualità di dirigente in aspettativa della Eventi 6 potrebbe perseverare nella sua furbata anche a Palazzo Chigi. L’unica differenza è che da oggi la quota di contributi del dipendente (pari al 9 per cento) non sarà versata dal datore di lavoro pubblico, come accadeva con Provincia e Comune, ma da Renzi stesso. Se deciderà di restare dirigente in aspettativa della società di famiglia fino alla fine della sua carriera Renzi si ritroverà una doppia pensione e un doppio Tfr. La scelta sta a lui. Da oggi può chiedere sacrifici ai pensionati d’oro, agli esodati o ai giovani che non avranno mai una sola pensione. Con quale faccia potrà farlo se continua a costruirsi una doppia pensione con un trucchetto?
Da Il Fatto Quotidiano del 25 febbraio 2014

mercoledì 26 febbraio 2014

Gli invisibili d�Europa

 

Lo scorso anno il neoministro dell'Economia, Padoan, giustificava le politiche di austerity: "Il dolore sta producendo risultati". Per tali parole dovrebbe ora scusarsi. La rivista scientifica Lancet racconta nell'ultimo numero come le politiche della troika abbiano distrutto la sanitΰ pubblica in Grecia, usata come cavia dall'Ue: il risanamento, cosμ inteso, riduce malthusianamente le popolazioni, cominciando da bambini e anziani.
di Barbara Spinelli, da Repubblica, 26 febbraio 2014


"Il dolore sta producendo risultati": fa impressione, proprio ora che θ divenuto ministro dell'Economia, rileggere quel che Pier Carlo Padoan disse il 29 aprile 2013 al Wall Street Journal, quando era vice segretario generale dell'Ocse.

Giΰ allora i dati sull'economia reale smentivano una cosμ impudente glorificazione dell'austeritΰ - e addirittura dei patimenti sociali che infliggeva - ma l'ultimo numero di Lancet, dedicato alla sanitΰ pubblica in Grecia dopo sei anni di Grande Depressione, va oltre la semplice smentita. Piω che correggersi, il ministro farebbe bene a scusarsi di una frase atroce che irresistibilmente ricorda Pangloss, quando imperterrito rassicura Candide mentre Lisbona θ inghiottita dal terremoto raccontato da Voltaire: "Queste cose sono il meglio che possa accadere. La caduta dell'uomo e la maledizione entrano necessariamente nel migliore dei mondi possibili".

Lancet non θ un giornale di parte: θ tra le prime cinque riviste mediche mondiali. Il suo giudizio sulla situazione ellenica, pubblicato sabato in un ampio dossier (lo ha ripreso Andrea Tarquini sul sito di Repubblica), θ funesto: la smisurata contrazione dei redditi e i tagli ai servizi pubblici hanno squassato la salute dei cittadini greci, incrementando il numero di morti specialmente tra i bambini, tra gli anziani, nelle zone rurali. Nella provincia di Acaia, il 70 per cento degli abitanti non ha soldi per comprare le medicine prescritte. Emergency denuncia la catastrofe dal giugno 2012. Numerose
le famiglie che vivono senza luce e acqua: perchι o mangi, o paghi le bollette. Nel cuore d'Europa e della sua cultura, s'aggira la morte e la chiamano dolore produttivo.

"Siamo di fronte a una tragedia della sanitΰ pubblica", constata la rivista, "ma nonostante l'evidenza dei fatti le autoritΰ responsabili insistono nella strategia negazionista". Qualcuno deve spiegare a chi agonizza come sia possibile che il dolore e la morte siano "efficaci", e salvifiche per questo le riforme strutturali fin qui adottate.

Nι θ solo "questione di comunicazione" sbagliata, come sosteneva nell'intervista Padoan: sottolineare gli esiti promettenti del consolidamento fiscale, ammorbidendo magari qualche dettaglio tecnico, non toglie la vittoria al pungiglione della morte. Trasforma solo un'improvvida teoria economica in legge naturale, perfino divina. Moriremo, certo, ma in cambio il Paradiso ci aspetta. Soprattutto ci aspetta se non cadremo nel vizio disinvoltamente rinfacciato agli indebitati-impoveriti: la "fatica delle riforme" (reform fatigue), peccato sempre in agguato quando i governi "sono alle prese con resistenze sociali molto forti". Quando siamo ingrati, come Atene, alle iniezioni di liquiditΰ che l'Unione offre a chi fa bancarotta: nel caso greco, due bailout tardivi, legati a pacchetti deflazionistici monitorati dalla trojka. I contribuenti tedeschi hanno giΰ dato troppo, dicono in Germania. Non θ vero, i contribuenti non hanno pagato alcunchι perchι di prestiti si tratta, anche se a tassi agevolati e destinati in primis alle banche.

Difficile dar torto alle "forti resistenze sociali", se solo guardiamo le cifre fornite su Lancet dai ricercatori delle universitΰ britanniche di Cambridge, Oxford e Londra. A causa della malnutrizione, della riduzione dei redditi, della disoccupazione, della scarsitΰ di medicine negli ospedali, dell'accesso sempre piω arduo ai servizi sanitari (specie per le madri prima del parto) le morti bianche dei lattanti sono aumentate fra il 2008 e il 2010 del 43%. Il numero di bambini nati sottopeso θ cresciuto del 19 %, quello dei nati morti del 20.

Al tempo stesso muoiono i vecchi, piω frequentemente. Fra il 2008 e il 2012, l'incremento θ del 12,5 fra gli 80-84 anni e del 24,3 dopo gli 85. E s'estende l'Aids, perchι la distribuzione di siringhe monouso e profilattici θ bloccata. Malattie rare o estinte ricompaiono, come la Tbc e la malaria (quest'ultima assente da 40 anni. Mancano soldi per debellare le zanzare infette).

La rivista inglese accusa governi e autoritΰ europee, ed elogia i paesi, come Islanda e Finlandia, che hanno respinto i diktat del Fondo Monetario o dell'Unione. Dopo la crisi acuta del 2008, Reykjavik disse no alle misure che insidiavano sanitΰ pubblica e servizi sociali, tagliando altre spese scelte col consenso popolare. Non solo: capμ che la crisi minacciava la sovranitΰ del popolo, e nel 2010-2011 ridiscusse la propria Costituzione mescolando alla democrazia rappresentativa una vasta sperimentazione di democrazia diretta.

Non cosμ in Grecia. L'Unione l'ha usata come cavia: sviluppi islandesi non li avrebbe tollerati. Proprio nel paese dove Europa nacque come mito, assistiamo a un'ecatombe senza pari: una macchia che resterΰ, se non cambiano radicalmente politiche e filosofie ma solo questo o quel parametro. Il popolo sopravvive grazie all'eroismo di Ong e medici volontari (tra cui Mιdecins du Monde, fin qui attivi tra gli immigrati): i greci che cercano soccorso negli ospedali "di strada" son passati dal 3-4% al 30%. S'aggiungono poi i suicidi, in crescita come in Italia: fra il 2007 e il 2011 l'aumento θ del 45%. In principio s'ammazzavano gli uomini. Dal 2011 anche le donne.

Lancet non θ ottimista sugli altri paesi in crisi. La Spagna, cui andrebbe assommata l'Italia, θ vicina all'inferno greco. Alexander Kentikelenis, sociologo dell'universitΰ di Cambridge che con cinque esperti scrive per la rivista il rapporto piω duro, spiega come il negazionismo sia diffuso, e non esiti a screditare le piω serie ricerche scientifiche (un po' come avviene per il clima). L'unica istituzione che si salva θ il Centro europeo di prevenzione e controllo delle malattie, operativo dal 2005 a Stoccolma.

La Grecia prefigura il nostro futuro prossimo, se le politiche del debito non mutano; se scende ancora la spesa per i servizi sociali. Anche in Italia esistono ospedali di volontari, come Emergency. La luce in fondo al tunnel θ menzogna impudente. Senza denunciarla, Renzi ha intronizzato ieri la banalitΰ: "L'Europa non dΰ speranza se fatta solo di virgole e percentuali" - "l'Italia non va a prendere la linea per sapere che fare, ma dΰ un contributo fondamentale". Nessuno sa quale contributo.

Scrive l'economista Emiliano Brancaccio che i nostri governi "interpretano il risanamento come fattore di disciplinamento sociale". Ma forse le cose stanno messe peggio: il risanamento riduce malthusianamente le popolazioni, cominciando da bambini e anziani. Regna l'oblio storico di quel che θ stata l'Europa, del perchι s'θ unita. Dimentica anche la Germania, che pure vive di memoria. Dopo il '14-18 fu trattata come oggi la Grecia: sconfitto, il paese doveva soffrire per redimersi. Solo Keynes insorse, indignato. Nel 1919 scrisse: "Se diamo per scontata la convinzione che la Germania debba esser tenuta in miseria, i suoi figli rimanere nella fame e nell'indigenza [...], se miriamo deliberatamente all'umiliazione dell'Europa centrale, oso farmi profeta, la vendetta non tarderΰ".

La vendetta non tardς a farsi viva, ed θ il motivo per cui ben diversa e piω saggia fu la risposta nel secondo dopoguerra. Quella via andrebbe ripercorsa e potrebbe sfociare in una Conferenza europea sul debito, che condoni ai paesi in difficoltΰ parte dei debiti, connetta i rimborsi alla crescita, dia all'Unione poteri politici e risorse per lanciare un New Deal di ripresa collettiva e ecosostenibile. Θ giΰ accaduto, in una conferenza a Londra che nel 1953 ridusse quasi a zero i debiti di guerra della Germania. I risultati non produssero morte, ma vita. Fecero rinascere la democrazia tedesca. Non c'era spazio, a quei tempi, per i Pangloss che oggi tornano ad affollare le scene.

(26 febbraio 2014)

Renzi, giro di boa per il Pd

di Rossana Rossanda                               

    

Affermare – come ha fatto Matteo Renzi nell'introduzione alla nuova edizione di "Destra e sinistra" di Norberto Bobbio – che il Pd non intende più collocarsi a sinistra conclude l'ultimo giro di boa del partito democratico. Simbolico, ma fa impressione che questo arrivi proprio quando in Italia si superano i 4 milioni di senza lavoro
Si conclude, con il nuovo governo e la sua carta di identità allegata su Repubblica da Matteo Renzi, l’ultimo giro di boa simbolico del Pd. Simbolico, perché nelle scelte concrete era già consumato da un pezzo, ma dare il vero nome ai fatti non è cosa da poco (non è passatempo da giorni festivi, come verseggia Eliot a proposito del nome da dare al proprio gatto). Che il Pd precisi come la sua immagine non debba più essere a sinistra, o di sinistra, riconoscendo come sola discriminante culturale e sociale “il nuovo e il vecchio” non è una gran novità, il concetto ci svolazza attorno da un bel pezzo, ma affermare che il Pd non intende più collocarsi a sinistra resta uno scatto simbolico rilevante. Non solo infatti, come taluni vagheggiavano, non è più in grado di compiere scelte di sinistra, poniamo, da Monti, ma neppure mira più a farle e a questo scopo ha scelto come proprio leader “Matteo” per chiarirlo una volta per tutte. Non in parlamento – nessuno, a cominciare da Giorgio Napolitano ha tempo da perdere – ma su un giornale amico e a governo varato.
Lo fa prendendosi qualche licenza culturale, come citare Norberto Bobbio contro Bobbio esempio di chi, se aveva ragione in passato, non l’avrebbe più oggi, quando la distinzione tra destra e sinistra non avrebbe più senso. Pazienza, oggi ne vediamo di ben altre. Fra le innovazioni trionfanti c’è che ciascuno riveste o spoglia dei panni che più gli aggrada il defunto scelto come ispiratore. Più significativo è che il concetto archiviato indicava il peso assegnato da ogni partito alla questione sociale e dichiararla superata proprio mentre si sfiorano e forse si superano i quattro milioni di senza lavoro, fa impressione. Forse per questo l’ex sindaco di Firenze si era scordato di informarci su quel job act che doveva presentare entro gennaio; ma in primo luogo non risulta che durante le consultazioni qualcuno glielo abbia ricordato, in secondo luogo nel governo se ne occuperà la ministra Guidi, donna imprenditrice esperta in quanto allevata dal padre confindustriale.
Sappiamo dunque che dobbiamo attenderci con il nuovo esecutivo e dobbiamo al Pd tutto il peso, visto che né la sua presidenza né la sua minoranza gli hanno opposto il proprio corpo, al contrario hanno sgombrato il campo sussurrando come il melvilliano Bartleby “preferirei di no”. Della stessa pasta la stampa, affaccendata dal sottolineare lo storico approdo delle donne a metà del governo sottolineando il colore delle giacche e il livello dei tacchi, cosa che dovrebbe far riflettere le leader di “Se non ora quando”. Eccola qui l’Ora, ragazze, non si vede dove stia la differenza.
Il nuovo che avanza ha rilanciato anche Berlusconi, primo interpellato da Renzi per incardinare tutta l’operazione. Condannato da mesi per squallidi reati contro la cosa pubblica ad astenersi dalla politica è stato ricevuto non già dai giudici di sorveglianza, bensì dal capo dello stato per illustrargli quello che pensa e intende fare sul futuro del paese. Per ora appoggia Renzi, rassicurando i suoi che non è un comunista.
                     fonte: www.sbilanciamoci.info.

lunedì 24 febbraio 2014

Il governo della Menzogna

 




Renzi fallirà come un cretino qualsiasi.

di Paolo Barnard*.

Tragica cosa per le persone di questo Paese, non per sto egocentrico
servo della finanza europea. Renzi fallirà come un cretino qualsiasi.
Perché neppure può provarci.

Non sto provocando, è che la sua è una missione impossibile. Se non
fosse sto pupazzo pompato che è, se conoscesse l'Eurozona e la
macroeconomia, non si sarebbe cacciato in questo pasticcio (e badate
che sto dicendo che pure i suoi padroni speculatori ci smeneranno il
muso, perché sto gioco di creare una moneta unica per distruggere
mezza Europa e fare un gran banchetto si è già ritorto contro chi
l'ha pensato. Gli speculatori ci hanno fatto un po' di fortune per
pochi anni, ma sta finendo).

*NO SOVRANITA' MONETARIA*

Per prima cosa Renzi si ritrova senza sovranità monetaria, quindi
senza nessuna delle leve economiche fondamentali di cui deve godere un
governo degno di questo nome, e di cui godono gli USA, la GB, la
Svezia o il Giappone. Non ha una Banca Centrale che possa controllare
inflazione, prezzo del denaro, tassi d'interesse, né monetizzare la
spesa decisa dal Parlamento.

Renzi non possiede una moneta, e deve usare gli euro, da restituire
con tassi non decisi da lui ai mercati di capitali internazionali.
Dovrà dunque tassarci a morte sempre, per fare quanto appena detto.
Dovrà quindi mentire all'Italia fingendo col gioco delle tre carte di
spostare fondi e investimenti essenziali (lavoro, infrastrutture,
crescita.) da qui a lì, per poi rimangiarseli tutti con gli
interessi. Dovrà rispettare il Pareggio di Bilancio, che peggiora
ciò che ho appena scritto. Ovvero: Chemiotassazione garantita,
impossibilità di investire per le aziende e tagli alla spesa. Qui
abbiamo la garanzia della decapitazione di: speranze di posti di
lavoro; salari; pensioni; modernizzazione del Paese; Sanità; risparmi
privati; piano industriale; risanamento bancario; crescita del PIL; e
domanda aggregata. Potrei finire qui, ce n'è già a sufficienza, ma
purtroppo.

*I DEFICIT NEGATIVI*

Renzi si ritroverà in una spirale di Deficit Negativi mortali, cioè
di tutte quelle spese di Stato imposte dalla crisi dell'Eurozona ma
che non risolvono nulla, non producono nulla e che aumentano il debito
di Stato. Per prima cosa l'economia continuerà a contrarsi, come è
già previsto per l'Italia dal FMI, Bloomberg, OCSE, Commissione UE, e
quindi calerà sempre il gettito fiscale, che quindi va a ingrandire
il debito. L'economia impantanata significa che il miliardo di ore di
cassa integrazione rimarranno e aumenteranno, pompando di nuovo il
debito. I fallimenti aziendali non caleranno, la curva dei prestiti
bancari insolventi aumenterà, e le banche italiane che già sono in
parte fallite, dovranno essere ri-salvate, a suon di denaro pubblico,
e ancora il debito sale. Assieme ad esso salgono gli interessi da
pagare, sempre spesa di Stato, ancora più debito. Ma stando in
Eurozona, un debito che lievita è grave (con la Lira non lo sarebbe)
perché porta all'allarme delle agenzie di rating, che porta
all'allarme dei mercati di capitali che prestano a Renzi gli euro, che
porta a tassi più alti sui titoli di Stato, che porta a più debito.
Che farà Draghi a sto punto? Si metterà a comprarci i titoli di
Stato per far scendere i nostri tassi? Farà cioè la famosa Outright
Monetary Transaction? Se lo fa, la Germania lo ammazza. Non lo farà.
Renzi rimane nel letame.

*NO CRESCITA E DEFLAZIONE.*

Renzi si ritrova con un'economia che si è contratta del 18% dalla
fine degli anni '90. Per riportarci a quel livello di vita, dovrebbe
riuscire a far crescere l'Italia del 20%. No, calma, visto che oggi
cresciamo dello 0,1% se va bene.. Il 20% fa ridere. Renzi non è
Roosevelt e non ha la sua testa. Poi abbiamo il problema della
deflazione che sta aggredendo tutta l'Eurozona, con la BCE disperata
perché non sa più che fare per fermare il crollo dei prezzi
(deflazione = contrario di inflazione). E quel che è peggio, è che
in un clima di crisi di queste proporzioni la gente corre a
risparmiare disperatamente per il timore del domani (mica scemi), ma
questo sottrae denaro in circolo, cosa che non solo affama tutta
l'economia, ma peggiora la deflazione stessa. Vorrei che capiste che
questo è uno dei mali economici peggiori e che c'è tutta la
tecnocrazia europea che non sa più come fermarlo. Immaginatevi Renzi,
il bulletto del PD.

*CROLLO BANCHE*

Renzi, poi, fra otto mesi si ritroverà l'implosione del sistema
creditizio europeo, quando i test dei regolamentatori dell'EBA
inevitabilmente mostreranno che alcune delle maggiori banche sono
irrecuperabili. Da qui il terremoto delle piccole medio banche, fra
cui quelle italiane sono quelle messe peggio d'Europa sia come buchi
di bilancio che come capitale di copertura. Prometeia stima che solo
per i prestiti insolventi le banche italiane siano scoperte per 150
miliardi di euro. E chi le salva? E con che soldi? No, Renzi, la
sovranità monetaria non ce l'hai, non le puoi nazionalizzare. Che
fai? Chiami Benigni?

*SVENDITA PUBBLICA INUTILE.*

Ma Renzi almeno ha la carta delle privatizzazioni. Vendi il
vendibile, incassa l'incassabile. Funziona? No. Non ha funzionato in
nessun Paese del mondo, meno che meno da noi quando proprio il centro
sinistra si mise negli anni '90 a svendere pezzi di beni di Stato a un
ritmo talmente forsennato che fece il record europeo delle
privatizzazioni nel 1999. Sapete di quanto ridussero il debito di
Stato italiano? Di un maestoso 8%... E che allora i prezzi contrattati
per i beni pubblici da alienare erano, circa, decenti. Oggi, con
l'Italia sprofondata dall'Eurozona in una svalutazione della sua
economia da piangere, Roma deve svendere a prezzi stracciati qualsiasi
cosa offra, con margini che saranno patetici. Renzi, farà la Thatcher
dei poveri.

*DISOCCUPAZIONE*

E la disoccupazione? Sapete cosa costa all'Italia avere il 12%
(fasullo, è molto di più) di disoccupati? Trecentosessanta miliardi
all'anno perduti. E i giovani? Il 76% di loro è costretto alla
flessibilità, con limiti invalicabili all'acquisto di una casa o al
matrimonio. L'Eurozona fu pensata ed edificata proprio per ridurre il
sud Europa a un serbatoio di lavoratori pagati alla kosovara ma in
strutture moderne. Il futuro di questo ragazzi è ormai certo:
stipendi dai 600 agli 800 euro per i più qualificati, al lavoro per
investitori stranieri. Questo non è più un Economicidio, è un
olocausto economico e generazionale, che Renzi dovrà gestire sotto
l'egida della Germania che già oggi sta affossando il resto d'Europa
coi suoi diktat criminosi. Tradotto in termini specifici: il potere
Neomercantile della mega-industria tedesca, quello della Bundesbank,
quello dei maggiori speculatori-rentiers del mondo, contro Renzino da
Firenze. Matteo tu fai fesso qualcun altro. Perché è vero che ignori
il 70% di tutto questo, ma sul restante 30% sei pienamente d'accordo,
da bravo leader del partito di destra finanziaria peggiore d'Italia,
il PD.

Renzi non si rende conto di cosa lo aspetta, ma soprattutto del fatto
che la catastrofe dell'economia italiana è un MACROPROBLEMA
STRUTTURALE nell'Eurozona, e finché esisteranno i parametri
economicidi dell'euro non esiste salvezza. Il governo Renzi è morto
prima di nascere. Poi, sapete, uno si stufa di scrivere sempre le
stesse cose.

Fonte: http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=778

Tratto da:
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=12958
.

(dove è stato pubblicato per gentile concessione dell'autore).

domenica 23 febbraio 2014

Una nota sul mio ex professore Pier Carlo Padoan

21 febbraio 2014 di Emiliano Brancaccio
Pier Carlo Padoan fu uno dei miei professori durante i corsi del master in Economia del Coripe Piemonte, presso il Collegio Carlo Alberto. Sebbene fosse un master rigorosamente “mainstream”, ricordo che le lezioni di alcuni docenti, come Luigi Montrucchio e Giancarlo Gandolfo, suscitavano il nostro vivo interesse e alimentavano le discussioni. Tra i docenti c’era pure Elsa Fornero,  che nel ruolo di professoressa rendeva indubbiamente molto meglio che in quello successivo di ministra. Rammento che invece non eravamo particolarmente entusiasti delle lezioni di Padoan. Forse a causa degli alti incarichi che all’epoca già ricopriva, in aula appariva un po’ distratto, vagamente annoiato, non particolarmente persuaso dai grafici che egli stesso tracciava sulla lavagna. Di una cosa tuttavia il nostro pareva convinto: la sostenibilità futura della nascente moneta unica europea era da ritenersi un fatto ovvio, fuori discussione.
Era il 1999, data di nascita dell’euro, e Padoan guarda caso teneva il corso di Economia dell’Unione europea. Una volta gli chiesi cosa pensasse delle tesi di quegli economisti, tra cui Augusto Graziani, che esprimevano dubbi sulla tenuta dell’eurozona; domandai, in particolare, quale fosse la sua valutazione di quegli studi che già all’epoca criticavano l’idea che gli squilibri tra i paesi membri dell’Unione potessero essere risolti a colpi di austerità fiscale e ribassi salariali. A quella domanda Padoan non rispose: si limitò a scrollare le spalle e a sorridere, con un po’ di sufficienza.
All’epoca in effetti l’atteggiamento di Padoan era piuttosto diffuso. L’euro veniva considerato un fatto definitivo, discutere di una sua possibile implosione era pura eresia. Ben pochi, inoltre, si azzardavano a dubitare delle virtù taumaturgiche dell’austerità. Da allora evidentemente molte cose sono cambiate.

Sulla capacità delle politiche di austerity di rimettere in equilibrio la zona euro, in accademia lo scetticismo sembra ormai prevalente. Come segnalato anche dal “monito degli economisti” pubblicato sul Financial Times nel settembre scorso, esponenti delle più diverse scuole di pensiero concordano nel ritenere che le attuali politiche stiano in realtà pregiudicando la sopravvivenza dell’Unione. Persino il Fondo Monetario Internazionale critica la pretesa di riequilibrare l’eurozona puntando tutto su pesanti dosi di austerity a carico dei paesi debitori. Insomma, la dura realtà dei fatti costringe i più a rivedere i vecchi pregiudizi. Ma Padoan, che oggi si accinge a lasciare l’OCSE e ad assumere l’incarico di ministro dell’Economia, ha cambiato la sua opinione?
Non direi. In un’intervista rilasciata poco tempo fa al Wall Street Journal, il nostro ha affermato che la crescente sfiducia verso l’austerity è solo “un problema di comunicazione” visto che a suo avviso “stiamo ottenendo risultati”. E ha aggiunto: “Il risanamento fiscale è efficace, il dolore è efficace”.
Ci sono due modi per interpretare questa affermazione. Il primo è che Padoan stia cinicamente interpretando l’austerity come fattore di disciplinamento sociale. Dal punto di vista dei rapporti di forza tra le classi sociali ci sarebbe del vero in questa idea. Mettendola in questi termini, tuttavia, Padoan sottovaluterebbe il fatto che l’austerity sta anche contribuendo alla cancellazione di ogni residua istanza di coesione tra i popoli europei. Il secondo modo di interpretare Padoan è che egli ritenga tuttora che le attuali politiche aiuteranno il rilancio dell’economia. In questo caso avanzerei il sospetto che Padoan sia stato sedotto dai risultati di un suo ardimentoso studio recente, secondo il quale i paesi che passano da una situazione di indebitamento ad una di avanzo estero, e che immediatamente attivano politiche di austerity in grado di abbattere il rapporto tra debito e Pil, hanno maggiori probabilità di aumentare la crescita della produzione. Ora, anche volendo trascurare gli enormi limiti di significatività di questo studio, il problema è che esso entra in contraddizione con le evidenze oggi disponibili: non ultimo il fatto che l’austerity non sta affatto determinando una riduzione del rapporto tra debito e Pil [1].
In un caso o nell’altro, non deve meravigliare che Paul Krugman abbia tratto spunto dalla improvvida dichiarazione di Padoan per commentare che “certe volte gli economisti che occupano cariche pubbliche danno cattivi consigli; altre volte danno pessimi consigli; altre ancora lavorano all’OCSE”. E altre volte ancora, aggiungiamo noi, diventano ministri dell’Economia di un governo che anziché fare uscire il Paese dalla crisi rischia di affondarlo definitivamente.
                                                                          Emiliano Brancaccio
   
[1] de Mello, L., P. C. Padoan and L. Rousová (2011), “The Growth Effects of Current Account Reversals: The Role of Macroeconomic Policies”, OECD Economics Department Working Papers, No. 871, OECD Publishing.

Pubblicato su www.emilianobrancaccio.it. La riproduzione è consentita citando la fonte, preservando i links e riportando la nota a pié di pagina.

Governo Renzi, Confindustria e Ocse i veri proprietari dell'esecutivo

Autore: fabio sebastiani                                  
La lista dei ministri l’hanno scritta direttamente Bankitalia, Bce e Quirinale. Assistenti ai bordi del campo, Confindustria, Ocse e Fmi. E’ così che dal cappello di Renzi sono usciti Federica Guidi, già ai vertici dell’associazione degli imprenditori, e Pier Carlo Padoan, vice all’Ocse e in procinto di approdare all’Istat.
Guidi, classe '69, laurea in Giurisprudenza, modenese, azienda di famiglia Ducati Energia, e'stata anche presidente dei giovani di Confindustria. Una sorpresa, emersa solo a ridosso dell'ufficialita' nelle indiscrezioni dell'ultim'ora, quella di Giuliano Poletti al ministero del Lavoro. Presidente di Legacoop e di Alleanza delle cooperative. "Sono onorato e, allo stesso tempo, pienamente consapevole della complessita' del lavoro che mi aspetta: lo portero' avanti in coerenza con gli orientamenti programmatici e la volonta' comune del Governo", assicura a caldo.
Pier Carlo Padoan, 64 anni, capo economista dell'Ocse e da poco nominato, ma mai insediato, all'Istat, arriva a via XX Settembre con un solido programma liberista, appena mitigato da qualche correzione maturata nella temperie della crisi, come quella sulla tassazione delle ricchezze. Tre i suoi punti di riferimento fondamentali: il taglio del costo del lavoro, sempre a somma zero e in relazione ai tagli della spesa pubblica beninteso; liberalizzazioni/privatizzazioni e attacco ai diritti del lavoro.
E’ un sostenitore del ridisegno dei sistemi di welfare, spostando la tutela dal posto di lavoro al reddito dei lavoratori. Il che significa, da un lato, "diminuire la protezione dei lavoratori con alcuni tipi di contratto", e dall'altro "migliorare le reti di supporto sociale" per chi e' in difficolta'. Quello che più o meno voleva fare il governo Letta con la riprogettazione degli ammortizzatori sociali. Padoan e' convinto che per finanziare il taglio delle tasse, sia indispensabile agire con una corrispondente riduzione della spesa, perche' "i margini per tagliare le tasse vanno costruiti". In questo senso, appare indispensabile proseguire sulla strada intrapresa dal commissario straordinario Carlo Cottarelli con la spending review.
L'obiettivo, ambizioso, deve essere quello di "rendere qualitativo, come in altri paesi, il taglio alle spese". L'altra chiave e' la concorrenza. Per questo, ha sostenuto l'economista, "e' importante che in Italia si proceda ad ulteriori liberalizzazioni, come nel settore dell'energia, il che significa un abbattimento dei costi di produzione". Ma non basta. Serve anche un'azione determinata per "liberalizzare il mercato dei prodotti, ossia dei servizi, come in altri paesi europei".
Padoan è stato consulente della Banca Mondiale, della Commissione Europea, della Banca Centrale Europea. E anche in Italia non e' alla primissima esperienza governativa. Sul suo curriculum, infatti, annovera una collaborazione prima con Giuliano Amato e poi con Massimo D'Alema a Palazzo Chigi come consigliere. Proprio con quest'ultimo il rapporto e' molto stretto visto che Padoan ha ricoperto il ruolo di direttore della Fondazione Italianieuropei.
Per il segretario del Prc Paolo Ferrero, il governo Renzi è "in perfetta continuità con quello di Letta e quello di Monti". "Inoltre, l’accordo con Forza Italia sulla legge elettorale e sulle riforme istituzionali - continua Ferrero - fa sì che Renzi oltre ad aver rimesso in pista Berlusconi, risponda a due maggioranze, entrambe spostate pesantemente a destra". Dal punto di vista delle scelte di politica economica "ci troviamo addirittura di fronte ad un peggioramento. Da un lato il ministro continua ad essere un fiduciario delle agenzie economiche internazionali, garante del patto di stabilità, dei trattati europei e delle politiche di austerità, non certo dello sviluppo e della giustizia sociale". Dall’altro, "è portatore di una tesi completamente falsa secondo cui la riduzione del costo del lavoro e la precarizzazione del lavoro – che lui chiama flessibilità – sarebbero le principali leve attraverso cui aumentare la produttività: questo governo, sulla linea della Fornero, si caratterizzerà per un nuovo attacco ai diritti dei lavoratori”.

Blog curato da ...

Blog curato da ...
Mob. 0039 3248181172 - adakilismanis@gmail.com - akilis@otenet.gr
free counters