Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 15 febbraio 2014

Le elezioni europee e i trattati da rifare

       
Le elezioni europee e i trattati da rifare
            

Pubblicato il 14 feb 2014

di Luciano Gallino
Sulle condizioni di vita dei cittadini europei, già afflitti dalle politiche di austerità, incombono altri rischi presenti in alcuni trattati che la Ue si accinge a varare o sono appena entrati in vigore. Riguardano i salari pubblici e privati; i diritti del lavoro; le politiche sociali; lo stato della sanità pubblica; il sistema previdenziale; la sicurezza alimentare; infine la possibilità di una crisi economica ancora più grave dell’attuale. Le prossime elezioni europee offrono una importante occasione sia per cominciare finalmente a discutere in pubblico di tali rischi, sia per fermare un paio dei trattati ancora non sottoscritti perché su di essi il Parlamento europeo ha diritto di veto.
Un trattato che potrebbe venire subito bloccato da Strasburgo è quello sull’Unione bancaria. L’idea alla base era valida: impedire che in futuro l’eventuale dissesto di grandi banche private sia di nuovo caricato sul bilancio pubblico dello Stato in cui hanno sede, com’è avvenuto dal 2008 in poi. Ma la bozza varata nel dicembre scorso contiene gravi difetti. L’autorità per accertare se una banca è in difficoltà e avviare al caso una procedura di fallimento o amministrazione controllata (resolution) sarebbe affidata alla sola Bce. Il che da un lato attribuisce alla Bce un potere enorme, dall’altro lascia fuori dall’Unione bancaria il Regno unito, poiché non fa parte dell’Eurozona; il quale non solo è la maggior area finanziaria del continente, con tre banche sulle prime venti (Hsbc, Barclays e Royal Bank of Scotland) che totalizzano 7 mila miliardi di dollari di attivi; è pure il Paese in cui nella primavera 2008, quindi prima ancora che in Usa, si verificarono i maggiori disastri bancari.
Inoltre il meccanismo di risoluzione è complicatissimo, e può richiedere mesi per venire attivato, mentre una banca può entrare di crisi in un paio di giorni, e in altrettanti deve essere salvata o lasciata fallire. Il capitale che le banche stesse dovrebbero accantonare — con calma, entro il 2026 — per salvare le consorelle in crisi è di 55 miliardi: somma ridicola, se si pensa che il solo crollo della Hypo Real Estate nel 2009 costò al governo tedesco 142 miliardi. Ma il difetto peggiore della bozza dell’Unione bancaria consiste nell’avallare l’idea che la crisi apertasi nel 2008 fosse dovuta a difetti di regolazione del sistema bancario, piuttosto che a un modello d’affari fondato sulla creazione esponenziale di debito. Sulla strada di questo trattato si profila al momento un grosso ostacolo. Infatti il presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz, ha già dichiarato che lo considera un pessimo errore, per cui il Parlamento voterà no. Ma di certo il suo compatriota-avversario Schäuble insisterà per ripresentarlo dopo le elezioni.
Un’altra minaccia pendente sulla testa degli europei è il Ttip (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti). La Ce ha tenuto centinaia di riunioni riservate con gli americani per varare un accordo che offre allecorporationsUsa mano libera nella Ue, scavalcando qualsiasi legge che ostacoli le loro attività in Europa, e a quelle europee di fare altrettanto in Usa. Basti pensare che gli Usa non hanno mai sottoscritto le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro concernenti la libertà di associazione sindacale; il diritto a contratti collettivi in tema di salari; la parità di retribuzione uomodonna; il divieto di discriminazione sul lavoro a causa di differenze di etnia, religione, genere, opinione politica. Se il Ttip fosse approvato, le migliaia di sussidiarie americane operanti in Europa potrebbero rifiutarsi di applicare tali convenzioni. Le medesime società potrebbero anche ignorare la legislazione europea in tema di ambiente, controlli sui generi alimentari, divieto di usare ogm, sostanze nocive negli ambienti di lavoro; una legislazione che nell’insieme è assai più avanzata di quella americana. Pertanto il Ttip è stato accusato da numerose Ong di essere un progetto politico inteso ad asservire ancor più i lavoratori ai piani dellecorporations, privatizzare il sistema sanitario, e sopraffare qualsiasi autorità nazionale che volesse ostacolare il loro modo di agire.
Contro la minaccia del Ttip si ergono fortunatamente degli oppositori di peso. Uno potrebbe essere di nuovo il Parlamento europeo, visto che questo ha già bocciato nel 2012 un progetto analogo che si chiamava Acta (Accordo commerciale contro la contraffazione). Esso avrebbe esteso grandemente la sorveglianza elettronica non solo sui siti web, ma perfino sui pc dei privati. Un altro oppositore è nientemeno che il Senato Usa, dove il leader della maggioranza demo-cratica, Harry Reid, pochi giorni fa ha respinto la richiesta del presidente Obama di aprire all’esame del Ttip (e di un trattato gemello con l’Asia) una “pista veloce” (fast track). Ciò comporterà un cospicuo allungamentodei tempi per la discussione del Ttip, piaccia o no a Bruxelles.
Poi c’è il Patto fiscale, cheda quest’anno obbliga gli stati contraenti a ridurre il debito pubblico al 60 per cento del Pil o meno, al ritmo di un ventesimo l’anno. Il Pil italiano 2013 è stato di 1560 miliardi. Il debito si aggira sui 2060 miliardi, pari al 132 per cento del Pil. Gli interessi sul debito superano i 90 miliardi l’anno, con tendenza a crescere, di cui 80 pagati con l’avanzo primario (la differenza tra le tasse che lo stato incassa e quello che spende in stipendi, beni e servizi). Per scendere alla quota richiesta dal Patto, che varrebbe 940 miliardi, bisognerebbe quindi recuperare 1.120 miliardi. Divisi per venti, fanno 56 miliardi l’anno. Dove li prende tanti soldi, per quasi una generazione, uno stato che ha incontrato gravi difficoltà al fine di trovare due o tre miliardi una tantum per eliminare l’Imu? Naturalmente, ecco levarsi il ditino ammonitore degli esperti neoliberali: ciò che conta non è il valore assoluto del debito da scalare, bensì il rapporto debito/Pil. Certo, se il Pil crescesse in termini reali del 4 per cento l’anno, pari a oltre 62 miliardi nel 2014 e poi via a crescere, il Patto fiscale farebbe meno paura. Accade però che le previsioni più ottimistiche non vadano al di là dell’1 per cento o meno per molti anni a venire. Con questo tasso di crescita, risulta impossibile far fronte all’impegno assunto.
Le soluzioni potrebbero essere diverse, tra le quali chiedere alla Ue di ridiscutere il trattato escludendo dal rapporto debito/Pil la colossale spesa per interessi. Ma in fondo il problema non è il suddetto rapporto. È l’idea che a forza di contrarre la spesa pubblica si arrivi a ripagare il debito. Grazie a tale idea perversa, lo stato italiano sottrae all’economia 80 miliardi l’anno, a causa di un iugulatorio avanzo primario usato solo per pagare gli interessi (e non tutti), facendo così precipitare il Paese in una spirale inarrestabile di deflazione. In altre parole, l’austerità imposta da Bruxelles sta soffocando l’economia italiana, dopo la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna. Sarebbe un grande tema da sottoporre al più presto a una discussione pubblica, insieme agli altri indicati sopra, e adattissimo per l’agenda del Parlamento europeo; a condizione, ovviamente, di mandarci qualcuno il quale non pensi che l’austerità e il resto siano una cura mentre sono il malanno.

ALESSANDRO ROBECCHI – Un thè a Sankt Moritz e un briefing, come nasce un governo in Italia

A rischio di andare controcorrente, nella ricostruzione dell’affaire Quirinale-Monti-Friedman non è il ruolo del Colle a stupire di più. Che un presidente faccia delle chiacchierate, delle consultazioni, o che disegni scenari politici non è così sorprendente. E va ricordato che nell’estate del 2011, pur di cacciare Berlusconi dalla guida del governo, milioni di italiani avrebbero accettato anche la mediazione di Toro Seduto, di Landrù o del Settimo Cavalleggeri.

Quello che più offende (anche se non stupisce più di tanto) è la trafila che il signor Monti fece per atterrare teleguidato a Palazzo Chigi. Una cenetta con un grande finanziere a Sankt Moritz (De Benedetti), poi un documento economico scritto da un grande banchiere privato (Passera) che sarebbe poi diventato ministro.
Diciamo che la prematura scomparsa di Gianni Agnelli ed Enrico Cuccia gli ha risparmiato il pellegrinaggio in collina a Torino o nel cuore della city, altrimenti avrebbe senza dubbio sentito anche loro. Insomma. Una faccenda di grandi patrimoni, di grandi finanze, di grandi banche, prima ancora della benedizione e dello sprone del Presidente della Repubblica.
Inutile rivangare: se si fosse andato a votare allora, sul finire del 2011 o all’inizio del 2012, ci saremmo risparmiati un sacco di seccature tra le quali proprio il disastroso governo Monti, le larghe intese, le fesserie sulle scie chimiche e i microchip, le renzinettes e i Matteoboys.
Però un giochino si può fare, una specie di fiction, diciamo un surreality. Immaginiamo uno scenario diverso. Immaginiamo un leader più o meno incaricato, informalmente, di sondare il terreno per un nuovo governo. Che vada a parlare, invece che con il finanziere nel villone in montagna, nel trilocale in periferia, che so, di Maurizio Landini. Che ne abbia da lui indicazioni, consigli e incoraggiamento.
E che poi vada, che so, alla Cgil a farsi scrivere un piano economico dettagliato, con tanto di provvedimenti urgenti e urgentissimi e una “visione” per rimettere in sesto il Paese. E che poi formi un governo pieno, invece che di banchieri e baroni universitari, di sindacalisti, o cocopro, o professori di liceo da milleduecento euro al mese. E magari immaginiamoci pure – non costa niente – un ministro del welfare che piange in conferenza stampa per la commozione di dover chiedere sacrifici ai grandi patrimoni, alla rendita, ai supermanager con trentadue incarichi, alle multinazionali che dribblano il fisco con la plastica agilità di un Cristiano Ronaldo.
Ecco, surreality è la parola giusta.
Allora sì, in quel caso, si sarebbe gridato al golpe, al gomblotto, alla sovversione. Invece, che a decidere e benedire chi doveva andare a Palazzo Chigi siano stati banchieri e finanzieri scandalizza pochi e qualcuno anzi insiste nel dire che è normale e persino giusto. L’espressione “poteri forti” è ambigua e generica, spesso usata a sproposito a copertura di cose che non si capiscono e di cui si sa poco.
Qui, invece, nell’affaire Quirinale-Monti-Friedman, i poteri forti si svelano e confessano, anzi, rivendicano il loro operato, lo considerano normale, forse persino doveroso. Il governo dei tagli e dell’austerity, della spending review e degli esodati, delle stupide promesse ai precari, poi precarizzati ancora di più o direttamente licenziati, fu deciso e voluto durante un thè a Sankt Moritz o un briefing nella sala riunioni di una banca. Questo è stato il grande reality italiano che ancora paghiamo carissimo. Per il surreality, si può solo sognare.
Alessandro Robecchi
(13 febbraio 2014)

Se il governo del paese lo decidono le primarie del Pd

 

  
© Aleandro Biagianti
Ho pas­sato buona parte della mia vita (poli­tica e civile, s’intende) a com­bat­tere le scle­rosi con­ser­va­trici dell’assetto politico-istituzionale ita­liano, la sua gene­tica pro­pen­sione a per­cor­rere e riper­cor­rere senza fine le vec­chie abi­tu­dini e i vec­chi vizi. Dopo il mio ultimo arti­colo (“Nuovi, ma diversi”, il manifesto, 16 gen­naio) sono stato attac­cato da destra e da sini­stra (si fa per dire) come difen­sore intran­si­gente dello sta­tus quo, sordo alle esi­genze del nuovo che avanza. Ancora una volta era tutto il con­tra­rio: mi sono sfor­zato, come sem­pre, di mostrare di quale vec­chiume gron­dasse, die­tro le super­fi­ciali appa­renze, il nuovo che avanza.
Non mi sarei aspet­tato però, — lo dico con grande sin­ce­rità, — che nel giro di pochi giorni il nuovo che avanza sve­lasse così chia­ra­mente il grumo di ottusa bru­ta­lità e di ata­vica ripe­ti­ti­vità, che esso nasconde. Mi rife­ri­sco ovvia­mente a quanto è acca­duto in seno alla (sedi­cente) Dire­zione del Pd, e nei suoi din­torni. Sem­pre più provo l’impressione che inter­preti e com­men­ta­tori della vicenda poli­tica ita­liana, ottusi (in que­sto caso uso il ter­mine in senso stret­ta­mente tec­nico) dal loro lungo mestiere, abbiano perso il senso delle cose che accadono.
Dun­que:
  1. La Dire­zione di un Par­tito rove­scia a lar­ghis­sima mag­gio­ranza un Pre­si­dente del Con­si­glio che fa parte di quella Dire­zione ed è espo­nente auto­re­vole e rispet­tato di quel Partito;
  2. Di tale deci­sione non viene data nes­suna (non intendo dire: nes­suna cre­di­bile, sia poli­tica, sia sociale, sia eco­no­mica, sia per­so­nale; dico nes­suna) spie­ga­zione, che non sia l’energizzazione vita­li­stica del processo;
  3. Non c’è pro­gramma, non c’è pro­po­sta, non c’è dire­zione di mar­cia, non c’è (una pos­si­bile e nuova) meto­do­lo­gia del con­fronto e dell’agire poli­tico, non c’è indi­ca­zione di una nuova maggioranza;
  4. L’energizzazione vita­li­stica del pro­cesso viene per­ciò affi­data inte­ra­mente alle pre­sunte (molto pre­sunte) capa­cità spet­ta­co­lari di un pro­ta­go­ni­sta, Mat­teo Renzi.
Ossia un poli­tico di cui in realtà non si sa nulla, né capa­cità ammi­ni­stra­tive nazio­nali né rela­zioni inter­na­zio­nali né cul­tura poli­tica, ma solo la “smi­su­rata ambi­zione” di rag­giun­gere il “suo” risul­tato il prima pos­si­bile, rove­sciando il tavolo, offrendo i sodali, igno­rando le regole, esi­bendo atti­tu­dini cabarettistiche.
Ma c’è di più, c’è qual­cosa che rende il tutto, — in sè grot­te­sco e addi­rit­tura inve­ro­si­mile, — peri­co­loso e da guar­dare con il mas­simo dell’attenzione. In un regime democratico-rappresentativo il potere, anche quello per­so­nale, si forma lungo i raggi di una filiera che pre­senta, a ogni suo snodo, un’occasione di veri­fica e, nel caso, di pro­mo­zione.
Sap­piamo benis­simo che que­sto modello, — che può anche non esserci pia­ciuto molto in pas­sato, ma di cui finora non s’è tro­vato uno migliore, — è già stato, ed è tut­tora, almeno in Ita­lia, logo­rato da mol­te­plici motivi di deca­denza. Ber­lu­sconi e il ber­lu­sco­ni­smo, Grillo e il gril­li­smo, ne costi­tui­scono gli esempi più clamorosi.
Renzi e il ren­zi­smo costi­tui­scono l’improvviso e improv­vi­sato ade­gua­mento del cen­tro­si­ni­stra e della sini­stra a tale model­liz­za­zione politico-istituzionale non democratico-rappresentativa (forse potremmo dire, da que­sto momento in poi, più fran­ca­mente antidemocratico-rappresentativa). Ma que­sto già lo sape­vamo, e l’abbiamo per giunta già detto. Cos’è suc­cesso allora per stu­pirci e pre­oc­cu­parci di più, molto di più? E’ suc­cesso che lo schema non democratico-rappresentativo viene ora tra­sfe­rito, senza sforzo appa­rente, dal livello di una forza politico-partitica, sia pure di prim’ordine, a quello del governo del paese. Ossia: anche il governo del paese viene sot­tratto al mec­ca­ni­smo delle veri­fi­che e delle pro­mo­zioni con­nesse tra­di­zio­nal­mente con il sistema democratico-rappresentativo, e dele­gato a una pro­ble­ma­tica, anzi oscura con­sul­ta­zione extra-democratico-rappresentativa.
E cioè: l’unica fonte (chiedo a tutti di riflet­tere su que­sta spe­ci­fi­ca­zione che spiega tutto: l’unica, l’unica, l’unica) del potere ren­ziano è il risul­tato delle pri­ma­rie dell’8 dicem­bre 2013, in cui ha scon­fitto i due can­di­dati alter­na­tivi, Cuperlo e Civati. Io con­te­sto (posso farlo tran­quil­la­mente: l’ho fatto da sem­pre) il valore legit­ti­mante, in senso democratico-rappresentativo, delle cosid­dette pri­ma­rie. Le pri­ma­rie pos­sono avere un valore orien­ta­tivo per la scelta di un can­di­dato di coa­li­zione in pre­senza di una prova elet­to­rale. Sono un’aberrazione ine­nar­ra­bile quando ne deri­vano la carica di Segre­ta­rio di un Par­tito, e il pra­tico, con­se­guente impos­ses­sa­mento di que­sto (mag­gio­ranza asso­luta in dire­zione, ecc. ecc.). Sarebbe come se gli organi diri­genti della Shell o dell’Eni fos­sero scelti dai pas­santi che si tro­vano a tran­si­tare in un giorno casual­mente scelto nella strada sotto le loro sedi. Se tale pro­ce­dura, per giunta, è stata messa in sta­tuto, affa­racci loro, e cioè degli stu­pidi uomini della Shell o dell’Eni, o di quel par­tito di cui stiamo par­lando. Ma se il mec­ca­ni­smo viene tra­sfe­rito di peso alla for­ma­zione di un Governo, che dovrebbe rap­pre­sen­tarci tutti, non sono più affa­racci loro, sono affari nostri. Che c’entriamo noi con l’arroganza e insieme con la stu­pi­dità del gruppo diri­gente del Pd, pas­sato e presente?
Di con­se­guenza io con­te­sto dura­mente anche la leg­git­ti­mità di un Governo che sulla base di code­ste pro­ce­dure fondi la genesi della sua costi­tu­zione come for­ma­zione di potere nella gestione delle cose ita­liane, cioè le nostre. E’ la prima volta che accade nella sto­ria dell’Italia repub­bli­cana. Per­fino il Cava­liere è andato più volte al Governo con la forza del voto. Quando non ne aveva abba­stanza, li com­prava. Ma al dun­que, com­prati o no, sem­pre voti in Par­la­mento erano. I voti su cui Renzi fonda la pro­pria pre­tesa di andare ipso facto al Governo sono quelli della massa che poli­ti­ca­mente non si esprime, resta a guar­dare, è capace sol­tanto di quel gesto ple­bi­sci­ta­rio che affida a qual­cuno, il Pre­de­sti­nato, le pro­prie sorti. Disprezzo per la “demo­cra­zia diretta”, per la “demo­cra­zia dal basso”? Figu­ria­moci. Disprezzo sol­tanto per tutto ciò che delega ad altri, senza sfor­zarsi di emer­gere, il pro­prio destino. L’Italia, ahimè, ha una solida tra­di­zione in que­sto campo, e la coa­zione a ripe­tere, in tempi, obiet­ti­va­mente, di crisi interna del sistema democratico-rappresentativo, torna a riemergere.
In attesa di orga­niz­zare una rispo­sta al di fuori della cer­chia attuale del potere, — qual­cosa come sap­piamo si è già comin­ciato a fare, — l’ultima trin­cea resta per ora il Par­la­mento, que­sto Par­la­mento. Dio mio. Una buona discus­sione sull’illegittimità politico-istituzionale e costi­tu­zio­nale delle pro­ce­dure fin qui seguite ser­vi­rebbe comun­que in tale sede a defi­nire, pre­ci­sare e con­fi­nare nei suoi limiti que­sta ine­dita, ed enne­sima, scia­gura ita­liana. Chi vota Renzi in Par­la­mento vota espli­ci­ta­mente per la deca­denza della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva in que­sto paese: cioè vota con­tro gli orga­ni­smi stessi in cui vive ed opera.
Né s’invochino, per favore, come ormai si fa da decenni, le sorti poli­ti­che, eco­no­mi­che ed euro­pee della povera Ita­lia. L’ultimo a poterlo fare con qual­che leg­git­ti­mità, almeno for­male, è stato Enrico Letta. Tolto di mezzo Letta, l’Italia sta altrove.
Chi come me non ha smesso di pra­ti­care sonde che con­sen­tono di rile­vare rea­zioni nel corpo vivo del paese, coglie tutt’intorno una stu­pe­fa­zione pro­fonda, un senso di smar­ri­mento senza pari. Forse il (mode­sto) Con­du­ca­tor sta per­dendo la sua ener­gia vita­li­stica pro­prio nel momento in cui essa sem­bre­rebbe por­tarlo al ver­tice. Que­sto paese, cui si vor­rebbe negare tutto, si sta indi­gnando. Non è poco.

venerdì 14 febbraio 2014

L'Europarlamento boccia la troika

 
Ha fatto danni epocali 
Risoluzione in commissione lavoro. Il documento che approderΰ nell'aula dell'europarlamento condanna senza mezzi termini il "salvataggio" di Ue, Fmi e Bce in Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda. I popolari: "La colpa del disastro θ dei socialisti"

Gre­cia, Por­to­gallo, Irlanda e Cipro sono i Paesi oggetto dei «piani di sal­va­tag­gio» ad opera dell�Unione euro­pea, attra­verso la troika for­mata da Com­mis­sione euro­pea, Bce e Fondo mone­ta­rio. Risul­tato? «Le poli­ti­che di aggiu­sta­mento e le riforme strut­tu­rali nei quat­tro Paesi hanno con­dotto a dram­ma­ti­che quote di disoc­cu­pa­zione, a una per­cen­tuale sto­rica di posti di lavoro per­duti, e a un peg­gio­ra­mento delle con­di­zioni di lavoro». A dirlo nero su bianco θ la Com­mis­sione lavoro e affari sociali del Par­la­mento euro­peo, che ha appro­vato ieri a larga mag­gio­ranza una riso­lu­zione di bilan­cio dell�operato della troika.

Il rap­porto passa ora all�esame dell�aula di Stra­sburgo, che dovrΰ votarlo a marzo: θ pos­si­bile che alla fine dell�iter qual­cosa cambi, ma il segnale lan­ciato ieri θ molto chiaro. «La dimen­sione sociale dell�Europa θ stata com­ple­ta­mente igno­rata dalla Troika, che ha agito come fosse un club di ban­chieri», ha dichia­rato dopo il voto di ieri l�estensore del docu­mento, il socia­li­sta spa­gnolo Ale­jan­dro Cer­cas. «Ora l�Europa deve dimo­strare che si occupa non solo della salute finan­zia­ria degli stati mem­bri � ha aggiunto �, ma anche della vita quo­ti­diana dei suoi cit­ta­dini». Salute finan­zia­ria, peral­tro, tutt�altro che rag­giunta, come mostra ad esem­pio l�esplosione del debito pub­blico greco.

Gli euro­de­pu­tati met­tono in evi­denza anche l�aumento della povertΰ, dovuto ai tagli impo­sti dalla troika nei set­tori dell�assistenza socio-sanitaria e delle pen­sioni, e l�incremento delle dise­gua­glianze figlio dell�austeritΰ.
Oltre a ciς, la com­mis­sione lavoro dell�Europarlamento punta il dito con­tro vio­la­zioni delle stesse regole «costi­tu­zio­nali» euro­pee, come l�articolo 178 del Trat­tato sul fun­zio­na­mento Ue che rico­no­sce agli stati «la respon­sa­bi­litΰ per la defi­ni­zione della loro poli­tica sani­ta­ria e per l�organizzazione e la for­ni­tura dei ser­vizi sani­tari e di assi­stenza medica». Tutto il con­tra­rio � dice la riso­lu­zione appro­vata ieri � di quello che θ real­mente accaduto.

Un duro j�accuse che non rispar­mia nulla dell�operato della troika, da anni al cen­tro delle cri­ti­che di movi­menti sociali, par­titi di sini­stra e sin­da­cati � la cui con­fe­de­ra­zione euro­pea si mobi­li­terΰ il pros­simo 4 aprile. Di diverso parere i con­ser­va­tori del Par­tito popo­lare euro­peo, che hanno votato con­tro il docu­mento: «La colpa dell�aumento della disoc­cu­pa­zione � hanno soste­nuto � θ dei socia­li­sti, che hanno chiuso gli occhi di fronte al nascere della crisi, senza rea­gire pron­ta­mente». Il rife­ri­mento θ agli ex pre­mier di Gre­cia e Por­to­gallo, Gior­gos Papan­dreu e Josι Socra­tes, al governo nel cru­ciale bien­nio 2009�2011, sosti­tuiti poi dai primi mini­stri con­ser­va­tori Anto­nis Sama­ras e Pedro Pas­sos Coe­lho attual­mente in sella.

Insod­di­sfatti del docu­mento appro­vato ieri, ma per ragioni oppo­ste a quelle del Ppe, sono i rap­pre­sen­tanti della Gue, il gruppo della sini­stra uni­ta­ria all�Eurocamera: a loro giu­di­zio si doveva dire piω chia­ra­mente che la troika θ ille­git­tima. Per Fran­ce­sco Mar­tone di Sel, il voto del Par­la­mento euro­peo evi­den­zia «la neces­sitΰ ormai irri­nun­cia­bile di met­tere mano all�architettura isti­tu­zio­nale dell�Ue per costruire isti­tu­zioni poli­ti­che forti e demo­cra­ti­che, che siano il fon­da­mento del pro­getto fede­rale degli Stati Uniti d�Europa». 

mercoledì 12 febbraio 2014

Professor Mario Monti (in arte Rigor Montis).

"Saint Moritz θ un comune svizzero del Canton Grigioni, una rinomata localitΰ di villeggiatura. Offre diversi impianti di risalita e piste per lo sci e diversi sentieri per escursioni in montagna. Nelle vicinanze, nel territorio comunale di Celerina, si trova la Cresta Run, una pista per bob e slittino di fama mondiale. Altra attrazione θ l'omonimo lago." (da Wikipedia). A Saint Moritz c'θ anche il famoso resort alpino dell'Ingegner Carlo De Benedetti. Ogni estate De Benedetti trascorre alcuni giorni nel suo buen retiro per rilassarsi al fresco delle montagne e incontrare gli amici di lunga data.
Uno di questi θ il professor Mario Monti (in arte Rigor Montis). Nell'agosto del 2011, ben prima che un comune amico di entrambi, Giorgio Napolitano gli desse l'incarico ufficiale di formare un nuovo governo (che avvenne solo nel novembre del 2011) , Monti raggiunse il grande industriale che rilanciς l'Olivetti nella sua villa. Sembra l'inizio di un film di Natale con Boldi e De Sica. "Mario mi chiese se potevamo incontrarci e io scelsi una tipica piccola trattoria svizzera per cena, appena fuori Saint Moritz. Ma all'ultimo momento disse che voleva parlarmi in privato e cosμ gli dissi "Certo, passa a casa mia prima di cena", mi raggiunse e fu allora che mi disse che era possibile che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli avrebbe chiesto di diventare presidente del Consiglio e mi chiese consiglio". Con un governo in carica, mai sfiduciato dal Parlamento, e con lo spread ancora sotto la soglia critica, Napolitano fa sapere a Monti che θ candidato alla presidenza del Consiglio e Monti va in pellegrinaggio in Svizzera da De Benedetti a chiedere la sua benedizione. Un Savoia la posto di Napolitano avrebbe avuto piω ritegno. La commedia alpina continua. De Benedetti: "discussi con Monti se accettare o meno l'offerta e il momento giusto per farlo e che ciς avvenne nella mia casa ad agosto, quindi Monti aveva giΰ parlato allora con Napolitano".
Berlusconi era allora un presidente del Consiglio regolarmente eletto, non era ancora stato condannato e fatto decadere. Fu sostituito con un tecnocrate scelto da Napolitano senza che il Parlamento sfiduciasse il governo in carica. Oggi, dopo due anni e mezzo, sappiamo che lo spread non ha (nι aveva) nulla a che fare con l'economia reale. Infatti lo spread θ sceso mentre l'Italia θ in profonda recessione, stiamo molto peggio del 2011. Sappiamo anche che un Presidente della Repubblica ha svolto funzioni che non gli sono attribuite dal suo incarico senza che gli italiani ne fossero informati. Sappiamo inoltre che De Benedetti, un privato cittadino italiano diventato svizzero, puς condizionare la politica italiana dalla sua villa di Saint Moritz e lo dice pure. E infine sappiamo che i cittadini italiani sono espropriati da qualunque decisione e che il loro voto non conta nulla. per i registi dei cinepanettoni della democrazia. Impeachment, e cosμ sia!
I dialoghi e i fatti riportati nel post sono tratti dal Financial Times di oggi che ha dedicato a Napolitano un'intera pagina richiamata in copertina con il titolo "The italian Job - How Monti was parachuted into power" (Come Monti fu paracadutato nel potere). Napolitano: "Fumo, solo fumo" di Londra?

Lista Tsipras, istruzioni per la corsa

       
Lista Tsipras, istruzioni per la corsa
            

Pubblicato il 9 feb 2014

Alle asso­cia­zioni, comi­tati, par­titi, ai gruppi infor­mali di persone
La pos­si­bi­lità della nascita in Ita­lia di una lista auto­noma, “di cit­ta­di­nanza”, della società civile capace di dare rap­pre­sen­tanza a un’area amplis­sima di elet­trici e di elet­tori intorno alla can­di­da­tura di Ale­xis Tsi­pras alla giuda della Com­mis­sione Euro­pea si sta concretizzando.
Una lista che abbia come qua­dro di con­te­nuti il mani­fe­sto “L’Europa al bivio. Con Tsi­pras una lista auto­noma della società civile” e le linee pro­gram­ma­ti­che che Tsi­pras ha pro­dotto in quanto can­di­dato alla pre­si­denza, can­di­da­tura a cui è stato indi­cato dal Par­tito della Sini­stra Euro­pea nel dicem­bre scorso a Madrid.
Le ade­sioni indi­vi­duali a que­sto pro­getto hanno già supe­rato, in pochi giorni e nono­stante il silen­zio asso­luto dei grandi media nazio­nali, le 17.500 e tra loro ci sono molte per­so­na­lità di primo piano nel campo della scienza, della cul­tura, dell’arte, del gior­na­li­smo e dello spettacolo.
Ma non basta, ora è fondamentale che il sostegno attivo al progetto arrivi anche dalle associazioni, dai comitati, dai gruppi e dai partiti che si riconoscono nel progetto, perché il successo di questa lista è interamente affidato all’iniziativa partecipata, attiva e capillare della grande rete di realtà organizzate che in questi anni si sono battute nelle mille iniziative a difesa dei beni comuni, dei diritti, del lavoro e di una democrazia non fittizia e manipolata, contro i tentativi di stravolgere la Costituzione e contro le politiche di austerità.
In questo spirito vi invitiamo a dichiarare il sostegno al progetto e ad aderire allo spazio pubblico che lanciamo: il Comitato di sostegno in cui ciascuno, secondo le proprie possibilità ed i propri orientamenti, possa portare il massimo contributo possibile alla costruzione e alle articolazioni del programma, alle proposte di candidature e alla composizione delle liste, deponendo ogni spirito di parte per unirci in un’impresa comune che va molto al di là delle pur significative particolarità e identità di ogni appartenenza. Faremo molti incontri, sia nazionali che locali, è fondamentale che il tessuto vivo del nostro paese si possa confrontare e se possibile partecipare a questa sfida.
Contemporaneamente è indispensabile che chiunque si riconosca in questa proposta, a cominciare dai sottoscrittori dell’appello, si attivi e si coordini nei propri luoghi di residenza per la costituzione di Comitati locali che dovranno essere, capillarmente, i protagonisti della campagna elettorale nei tre messi prossimi.
I compiti sono enormi. Si tratta, innanzitutto, di raccogliere un numero di firme che una legge elettorale fatta dichiaratamente per porre una barriera quasi insormontabile all’accesso ha fissato a 150.000 (30.000 per ognuna delle 5 circoscrizioni, 3.000 per ogni regione, compresa la Valle d’Aosta). La scelta di accettare questa sfida e di dimostrare che di fronte a una proposta politica forte non ci sono ostacoli burocratici che tengano mira a fare della raccolta delle firme il primo atto della campagna elettorale e la prima occasione per mobilitare tutte le forze in uno spazio pubblico finalmente riconquistato.
Prima della raccolta delle firme si tratta di selezionare i candidati (il cui elenco dovrà tassativamente comparire nei moduli della sottoscrizione), secondo un procedimento che garantisca la massima trasparenza delle scelte e condivisibilità degli esiti, assumendo come criterio guida esclusivamente la capacità di ognuno di garantire alla lista il massimo di consenso e di autorevolezza. I tempi sono purtroppo strettissimi, non più di una decina di giorni: per questa ragione sarebbe opportuno rendere visibile il ventaglio delle possibili candidature entro il giorno 19 febbraio, facendo affluire le proposte all’indirizzocandidature@itsipras.it
Infine, ma cosa non meno difficile, dovremo riuscire a rompere il muro di silenzio che il sistema dell’informazione ufficiale erige nei confronti di ogni iniziativa proveniente dall’esterno del suo “cerchio magico” e portatrice di istanze alternative a quelle dominanti.
Occorrerà offrire a un Comitato operativo nazionale le migliori risorse di competenza e conoscenza per poter svolgere con spirito di unità l’indispensabile ruolo di promozione, informazione, coordinamento delle iniziative, sapendo che il risultato sarà tanto migliore quanto più sapremo suscitare iniziative dal basso, processi di auto-attivazione capillari, meccanismi “virali” di partecipazione attiva, in cui ognuno si senta parte del progetto e responsabile del risultato.
Vi invitiamo dunque a far pervenire la vostra adesione al Comitato di sostegno all’indirizzo: sostegno@itsipras.it
A consultare il sito http://www.listatsipras.eu/, attraverso il quale sarà possibile informarsi quotidianamente sulle scadenze, sulle iniziative e sulle decisioni da prendere (prima fra tutte la scelta dei nome e del simbolo da realizzare attraverso una consultazione telematica).
A far affluire proposte e suggerimenti sui candidati all’indirizzo mail candidature@itsipras.it
E a contattare il Comitato organizzativo al mail info@itsipras.it
E a partecipare al primo appuntamento di confronto:
martedì 11 febbraio alle ore 14.00 Circolo Culturale Cento Fiori , via Goito 35/B -vicino a stazione Termini
Andrea Camilleri, Paolo Flores D’Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli, Guido Viale

THE AMERICAN JOB

QUELLO CHE IL GIORNALISTA ALAN FRIEDMAN NON HA VOLUTO DIRE SUL "GOLPE" DEL 2011.


Quando gli americani vengono a salvarci io sento sempre puzza di bruciato, la storia θ piena di testimonianze di interessi made in Usa spacciati per aiuti filantropici al nostro paese. Non entro nei dettagli ma a buon intenditor poche parole.
Ultimo il caso del giornalista Alan Friedman che sembra essere venuto a smascherare il complotto ai danni del popolo italiano che di fatto dal 2011 ha favorito un governo non legittimato dal consenso popolare che a sua volta ha svenduto l�Italia all�Europa e ai suoi potentati finanziari. Se cosμ fosse allora perchι non ha voluto dire tutta la veritΰ ?               Perchθ mettere fertilizzante sulle foglie se si sa bene che θ la radice ad essere marcia ?   Perchθ fare credere a tutti che l�incontro tra Napolitano e Monti nel Giugno 2011 seguito poi dall�incontro tra Monti e Prodi e tra Monti e Carlo De Benedetti nell�agosto dello stesso anno siano davvero la prova del complotto ai danni del governo in carica e quindi di tutti gli italiani.
Perchθ non proviamo ad analizzare insieme cosa θ davvero accaduto in quei mesi che ha coinvolto su cose ben piω gravi i protagonisti di quella vicenda. Cosa c�hanno tenuto nascosto per coprire scenari ben piω ampi.                                                             Cominciamo col dire che il punto cruciale sul quale andava focalizzata l�attenzione non risiede nella constatazione che Napolitano a Giugno 2011 (quando Berlusconi aveva la maggioranza e lo spread era di parecchio sotto il livello di guardia) avesse giΰ in mente di sostituire Berlusconi con Monti, perchθ θ evidente che quella non fu una sua personale volontΰ bensμ un diktat arrivato dalle lobby finanziarie di cui proprio Monti ha in passato occupato i vertici (membro Direttivo Bilderberg, Presidente europeo Commissione Trilaterale, Presidente lobby belga Brugel).
Quello che θ grave, θ capire come hanno costretto un governo democraticamente eletto a dare le dimissioni e soprattutto quanto questo giochino di tenere per alcuni mesi lo spread ai massimi storici per causare la caduta del Primo Ministro in carica e favorire la nascita dell�esecutivo tecnico, sia costata in termini di miliardi di euro agli italiani se si pensa che lo spread passς dai 214 punti del 24 giugno 2011 fino ad arrivare agli oltre 500 punti nella fatidica seconda settimana di quel travagliato Novembre, portando gli interessi del titolo di Stato decennale anch�esso a quote record ( http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-09/spread-btpbund-oltre-punti-063829.shtml?uuid=AajR9xJE ) con delle modalitΰ che rendono assolutamente necessario aprire un dibattito su quanto tutto questo abbia palesemente imbavagliato e legato al palo il processo democratico nel nostro paese e rendendo necessaria quindi una immediata rivalutazione dei trattati e degli accordi siglati in quel periodo che hanno fortemente penalizzato la nostra sovranitΰ nazionale ed escluso i cittadini dal processo di ratifica degli stessi.                                                                           Friedman parla dell�incontro avvenuto a Saint Moritz tra Mario Monti e Carlo De Benedetti nell�agosto del 2011 quando il professore della Bocconi in tempi non sospetti sarebbe andato ad informare l�editore/finanziere del suo probabile futuro incarico di governo. Non entriamo nel merito della assoluta gravitΰ di una scelta del genere nell�atto di comunicare notizie cosμ sensibili che arrivano dai massimi vertici dello Stato ad una persona che svolge attivitΰ sui mercati finanziari. Informazioni su eventi che avrebbero avuto ripercussioni immediate e prevedibili su quei mercati stessi. Lasciamo che su questo sia la magistratura a valutare se c�θ ipotesi di reato o meno. Occupiamoci invece solo della cronaca giornalistica degli eventi ignorati dallo stesso Friedman.
Cosa θ successo due mesi prima di quell�incontro proprio a Saint Moritz e sempre con Monti come protagonista ?
C�θ stata la riunione Bilderberg 2011 dal 3 al 6 giugno. Una riunione nella quale, come gli eventi dimostreranno, θ stata pianificata la parallela caduta dei governi eletti in Italia e Grecia adottando le medesime modalitΰ, nello stesso preciso momento con lo scopo di favorire l�instaurazione di due governi tecnici guidati da uomini provenienti dalle medesime elite finanziarie. (http://www.bilderbergmeetings.org/participants_2011.html).                  Una decisone che verrΰ poi comunicata ed imposta ai diretti interessati durante la riunione del G20 che si svolse il 3-4 Novembre 2011 ossia una settimana prima che i due rispettivi Presidenti del Consiglio di Italia e Grecia dessero le dimissioni mai annunciate prima. ( http://www.ilgiornale.it/news/interni/zapatero-rivela-cav-obiettivo-attacco-dei-leader-europei-971552.html ).
Come lo convinsero a dimettersi ? basta guardare il crollo che il titolo mediaset ebbe proprio in quei giorni: ( http://www.corriere.it/economia/11_novembre_09/btp-borsa-mercati_be547e7c-0aaa-11e1-8371-eb51678ca784.shtml )
Chi c�era con Monti a quella riunione ?
Tra gli oltre 100 uomini piω potenti del mondo che si sono incontrati in quell�occasione (a Friedman sconvolge di piω l�incontro tra Monti e De Benedetti) erano seduti al suo fianco anche i presidenti delle due banche d�affari che qualche mese dopo causeranno la speculazione sui mercati italiani e la conseguente impennata dello spread che porterΰ Monti al governo.
C�era, infatti il Ceo di Goldman Sachs e di Deutsche Bank.
Deutsche Bank ha inspiegabilmente venduto nei primi sei mesi del 2011 l�88% dei titoli italiani in portafoglio. (http://www.corriere.it/economia/11_luglio_28/prodi-deutsche-bank_02a8aac8-b914-11e0-a8dd-ced22f738d7a.shtml)
Goldman Sachs, invece, giΰ responsabile per aver indotto la crisi sui mercati americani e per questo incriminata (http://www.repubblica.it/economia/2010/04/17/news/rampini_goldman-3407899/ ) ha effettuato a sua volta una massiccia vendita di titoli italiani ed una serie di speculazioni sui nostri mercati ( http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=201111100904011010&chkAgenzie=PMFNW&sez=news&testo=&titolo=CRISI:%20Goldman%20Sachs%20ha%20innescato%20vendite%20Btp%20%28MF%29 ) ma la cosa piω assurda sta nel fatto che con le conseguenze delle sue stesse speculazioni la Goldman Sachs e le lobby finanziarie ad essa collegate sono riuscite a piazzare i loro 4 uomini (tutti ufficialmente uomini Goldman Sachs) in posti chiave.
Basta guardare le date e l�incredibile tempistica.
1 Novembre: Mario Draghi (Goldman Sachs, Trilaterale, Bilderberg) viene scelto come Presidente della Banca Centrale Europea
11 Novembre: Lucas Papademos (Goldman Sachs, Trilaterale, Bilderberg) viene imposto in Grecia come Presidente del Consiglio tecnico. Era Governatore della Banca di Grecia nel 2001 quando vennero truccati i conti della Grecia con l�aiuto della Goldman Sachs per permetterle l�entrata nell�euro. (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/26/prestiti-goldman-sachs-dietro-conti-truccati-della-grecia/199893/). Papademos θ stato poi scelto in questi mesi nella Commissione per la scandalosa ricapitalizzazione della Banca D�italia forse proprio per la sua specializzazione in questo tipo di operazioni/truffa ma lasciamo stare questo inquietante dettaglio.
16 Novembre: Mario Monti (Goldman Sachs, Trilaterale, Bilderberg) viene scelto da Napolitano come Presidente del Consiglio tecnico in Italia.
La Goldman Sachs aveva pubblicamente espresso il suo diktat in quelle settimane con un report che risulta una vera e propria minaccia ai politici italiani per fare in modo che seguissero alla lettera le sue istruzioni: �In caso di un esecutivo di centro-destra sostenuto da una coalizione piω ampia, lo spread si attesterebbe 400-450, quindi sempre a livelli pericolosi. Le elezioni anticipate sarebbero invece �lo scenario peggiore per i mercati� e in questo caso Goldman non fa previsioni sullo spread, ma e� evidente che salirebbe alle stelle.�                                                                                                                  In pratica la soluzione che proponeva era chiara: Nessun governo politico, nessuna elezione democratica ma governo tecnico imposto dalla finanza internazionale.
Il piano originale prevedeva anche Romano Prodi (Goldman Sachs, Trilaterale, Bilderberg) alla Presidenza della Repubblica e questo spiega perchθ Monti � come rivelato da Friedman � andς ad incontrare proprio Prodi in quei mesi nonostante l�ex Presidente del Consiglio non ricoprisse piω incarichi politici.
Questo fu l�unico intoppo di quel piano ben congegnato infatti Romano Prodi fu �impallinato� dai suoi con il voto segreto ed il piano saltς.
Fu a quel punto che i potentati finanziari perdendo il loro punto di riferimento in un ruolo chiave come la presidenza della repubblica e non avendo il tempo per riorganizzarsi in quel senso, furono costretti a favorire la riconferma di Napolitano impedendo che un�altra figura da loro indipendente salisse al Quirinale.
A questo punto, dopo aver creato la crisi sui mercati, dopo aver causato l�impennata dello spread dopo aver costretto Berlusconi alle dimissioni e piazzato Monti al governo, non restava altro che dimostrare agli italiani che era arrivato il salvatore della patria in modo da tenerlo in carica il tempo necessario a firmare quei trattati che avrebbero vincolato per sempre l�Italia all�austerity nel silenzio generale ( ed ecco che viene firmato dal binomio Monti /Napolitano il Mes, il fiscal compact e modificata silenziosamente la costituzione per introdurvi la ghigliottina del pareggio di bilancio). Per fare questo la BCE di Mario Draghi ha attivato in data  22 dicembre 2011, quindi immediatamente dopo la salita al governo di Monti, la long term refinancing operation (LTRO) (http://argomenti.ilsole24ore.com/parolechiave/ltro.html ) dando il via ad una incredibile iniezione di liquiditΰ pari a 1000 miliardi di euro alle banche che perς non li distribuiranno nell�economia reale per salvare imprese e famiglie ma acquisteranno unicamente titoli di stato italiani in modo che la discesa repentina dello spread venisse in maniera ingannevole attribuita all�arrivo del professore della Bocconi al governo.
Perchι la Bce non ha effettuato quell�iniezione di liquiditΰ un mese prima per salvare un governo eletto democraticamente ? perchι non θ stata fatta per permettere agli italiani di tornare a votare ?
A tenere alta la tensione ci penseranno poi le agenzie di rating come la Moodys che arriveranno prima a declassare l�Italia ( http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-07-13/moddys-declassa-rating-titoli-074033.shtml?uuid=AbtZn66F ) e poi sempre nel caso di Moodys addirittura a prendere pubblicamente posizione sulle prossime elezioni italiane, appoggiando una rielezione di Mario Monti e provando a sbarrare la strada a un ritorno di Silvio Berlusconi.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/13/moodys-turbolenze-politiche-hanno-poche-conseguenze-su-affidabilita-italia/444770/
E anche qui nulla θ stato lasciato al caso, infatti, qualche imbarazzo susciterΰ in quelle settimane la notizie che proprio Mario Monti era stato un collaboratore della Moodys dal 2005 al 2009 come sarΰ costretto ad ammettere lui stesso: http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/1031694/Monti-Moody-s.html.
Nella questione Friedman θ stato fatto anche il nome di Corrado Passera che ricordiamo essere un membro ufficiale del Bilderberg e della Commissione Trilaterale ed a questo punto θ giusto ricordare che anche il figlio del succitato Carlo de Benedetti , Rodolfo, ha partecipato piω volte alle riunioni del Bilderberg.
Concludiamo ricordando a tutti che nel 2012 fu Enrico Letta l�unico politico italiano chiamato a sostituire Monti alla riunione del Bilderberg 2012 in America ed in quel periodo i pochi che vennero a saperlo si interrogavano sul motivo di tale scelta da parte dell�alta finanza internazionale dato che Enrico Letta non era ne segretario del suo partito ne candidato alla presidenza del consiglio. Sta di fatto che pochi mesi dopo quella riunione sempre Giorgio Napolitano incaricς proprio Enrico Letta come Presidente del Consiglio al posto di Monti.                                                                                           Le jeux sont faint. Banco vince anzi banca vince.
Detto questo, siamo sicuri che il vero scandalo di quanto accaduto nel 2011 sia da ricercare nell�incontro tra Napolitano e Monti come Friedman vuole farci credere ? O qualcuno ha voluto semplicemente fare una �tirata d�orecchie� al nostro Presidente della Repubblica per le posizioni contro l�austerity espresse poche settimane fa davanti alla Commissione Europea. Posizioni alle quali lui stesso ovviamente non crede dato che l�austerity θ figlia delle sue scelte ma che evidentemente ha dovuto fare in un momento di anti-europeismo dilagante. Scelta che evidentemente ha urtato la suscettibilitΰ degli orgogliosi e onnipotenti tecnocrati europei.                                                                     Siamo sicuri che non sia stato fatto tutto questo  semplicemente per farlo rientrare nei ranghi θ fargli capire che θ arrivato il momento che cominci ad allentare il suo sostegno al governo Letta dato che i poteri forti sono giΰ pronti a scaricarlo in favore di Matteo Renzi ?
O Friedman θ davvero un salvatore della nostra patria al quale sono solo sfuggiti dei �dettagli� che adesso si adopererΰ a rendere pubblici ?
Ai posteri l�ardua sentenza.
Francesco Amodeo

martedì 11 febbraio 2014

Una risposta al comunicato di Bankitalia

di Claudio Gnesutta                 
Dopo il nostro articolo sulla "privatizzazione del signoraggio", l'Istituto di via Nazionale smentisce che la rivalutazione del suo capitale sia un regalo alle banche. Ma se l’attività della Banca è una funzione pubblica per quale ragione allora le banche pretendono di vantare un diritto di partecipazione ai suoi utili?
Immediatamente dopo aver pubblicato su questo sito alcune considerazioni sulla “privatizzazione del signoraggio” prodotto dal Decreto Bankitalia è uscito un comunicato della Banca d’Italia sulle conseguenze della legge 29.01.2014 n. 5 (www.bancaditalia.it) che sviluppa una interessante, lunga e articolata argomentazione nel tentativo di dissipare i dubbi che la rivalutazione del suo capitale sia un regalo alle banche. O meglio ad alcune banche, dato che il 90 per cento è detenuto da dodici istituti finanziari di cui i primi tre (nell’ordine di importanza Banca Intesa, Unicredit, Assicurazioni generali) ne detengono il 70 per cento.
Per quanto il documento della Banca d’Italia sviluppi molte considerazioni note e condivisibili non contiene una risposta convincente alla questione cruciale, ovvero se l’operazione non si configuri come una privatizzazione del signoraggio sulla moneta legale. Una impressione che si fonda tra l’altro sulla sua stessa affermazione che “la Banca d'Italia era e resta un istituto di diritto pubblico” dato che svolge funzioni pubbliche (punto 1 del comunicato). Le banche (ora) private hanno una partecipazione in Banca d’Italia “per ragioni storiche” e questo rappresenta una “singolare anomalia giuridica” (www.lavoce.info/quanto-vale-la-banca-ditalia/) dato che alla loro proprietà formale del capitale non corrisponde alcun potere di gestione essendo escluse da qualsiasi possibile interferenza con la funzione pubblica. Ciò viene ulteriormente ribadito quando il comunicato sottolinea che l’indipendenza dell’Istituto (dal governo, e a maggior ragione dai privati) è sancita dalla normativa che ha dato origine al sistema europeo delle banche centrali.
Se quindi l’attività della Banca centrale è una funzione pubblica (la gestione della moneta cartacea) e da questo monopolio legale derivano esclusivamente i suoi utili, si pone allora la domanda: per quale ragione, per quale apporto sostanziale, le banche pretendono di vantare un diritto di partecipazione a tali utili? Il fatto che, negli anni Trenta, avessero una partecipazione in una (allora) banca privata alla quale poi sarebbe stato affidato una funzione pubblica con una trasformazione profonda dell’assetto normativo dell’intero sistema bancario non ha alcuna rilevanza sostanziale. La cosa che risulta evidente è che, dopo un secolo di cambiamenti istituzionali epocali, ci troviamo di fronte a un ceto politico-bancario (www.lavoce.info/banca-ditalia-e-il-mistero-delle-quote/) che rivendica come suo diritto una inconcepibile posizione di rendita, peraltro illogicamente giustificata dal comunicato quando conferma che, in caso di “statalizzazione”, si sarebbe andati incontro a un esborso “a carico del bilancio pubblico” (sempre nel punto 1 del comunicato).
L’anomalia, che avrebbe potuto essere sanata con la riforma del 2005 attraverso la pubblicizzazione dell’Istituto, e non con l’improprio disegno della sua trasformazione in una public company posseduta dalle banche privatizzate in quel torno di tempo, non sembra peraltro esser stata un errore, ma un obiettivo strategico per potersi garantire – ed è la questione di sostanza – attraverso la partecipazione al capitale della banca centrale, la partecipazione agli utili della stessa. È questa realtà che si scontra con la questione cruciale: chi ha diritto al “signoraggio”1 dell’emissione di carta moneta? Se esso è il vantaggio collettivo della fiducia ad utilizzare dei pezzi di carta per le nostre transazioni esso è un bene pubblico i cui proventi sono di proprietà della collettività. E su questo aspetto il comunicato della Banca d’Italia (punto 2) fornisce una risposta precisa: “[i] proventi dell'attività classica di una banca centrale”, il battere moneta, “[derivano] da una tipica attività di interesse pubblico” e pertanto gli attivi della Banca “non sono di proprietà dei partecipanti” e quindi su di essi le banche private non possono vantare alcun diritto. Ma da questa premessa è arduo giungere alla conclusione - contabilmente bizzarra – espressa dallo stesso comunicato che le banche partecipanti possono invece vantare un diritto sul “capitale”, quasi si potesse ritenere che la posta contabile “capitale sociale più riserve” non abbia alcun rapporto con l’attivo e il passivo di bilancio. I dividendi cui aspirano le banche (“che non potranno superare 450 milioni annui”, bella consolazione!) non scaturiscono proprio dal maggiore rendimento dell’attivo rispetto al passivo? È possibile che si possa sostenere che la produzione degli utili della banca centrale – frutto, si ricorda ancora, di un monopolio legale – sia il risultato della produttività del capitale versato negli anni Trenta? Per quanto interessanti, le considerazioni sul calcolo dei dividendi e sulla regolamentazione europea appaiono del tutto secondarie per una risposta a questa questione di sostanza.
Mi è anche facile concordare (punto 3) sul fatto che per il bilancio della Banca centrale la rivalutazione delle quote è una semplice scrittura che non cambia contabilmente il suo patrimonio; ma questa osservazione non risolve, se sfrondiamo il discorso degli artifici formali, la questione che è da una tale scrittura che si modifica economicamente la destinazione degli utili (merita sempre ricordare che sono frutto del signoraggio). Anche qui la Banca è correttamente trasparente: “[la rivalutazione] implicherà presumibilmente per i partecipanti un dividendo accresciuto […] rispetto a quello percepito negli anni recenti”. Se si accetta questa conclusione, non è tuttavia possibile comprendere la sua successiva affermazione che é infondato che “lo Stato comunque ci rimetterà, perché incasserà meno soldi ogni anno dalla Banca d'Italia”. Non è facile per il senso comune far conciliare questa affermazione con il fatto assodato che con questo provvedimento una consistente parte degli utili (i 450 milioni citati) non andranno - in ogni anno futuro - allo Stato ma alle banche private; rimane un mistero al maggior reddito che ne beneficiano le banche (e che non viene retrocesso allo Stato) quest’ultimo non subisca un minor incasso.
Ma è il punto 4 che rende tutta la questione quasi surreale se si accetta - come buon senso e buon governo richiede - che non vi sia alcuna giustificazione economica alla partecipazione delle banche private al capitale della Banca centrale. In questo punto conclusivo, il comunicato prende in considerazione il caso in cui le quote di partecipazione delle singole banche eccedano il limite del 3 per cento esse saranno costrette ad alienare la parte eccedente nei prossimi tre anni. Non è un ammontare di poco conto se si considera che i sei istituti finanziari che superano questa quota possiedono l’83 per cento del capitale della banca e, fatte salvo le quote del 3 per cento che potranno mantenere, dovranno collocare – e trovare chi è disponibile a sborsarne il valore – il 65 per cento delle quote per un ammontare di poco inferiore ai 5 miliardi di euro. Che un collocamento di questo genere presso altre banche sia altamente improbabile è dimostrato dall’impegno che si è assunto il nostro Istituto di riacquistarle (si dice temporaneamente) al prezzo rivalutato e ciò comporterà un esborso effettivo di fondi a favore delle banche e a carico della collettività. Per tranquillizzare l’opinione pubblica si stabilisce l’impegno che esse siano “ricollocate al più presto sul mercato”, come se questo fosse scontato. Ma cosa succede se la percezione della "qualità dell'investimento” non corrisponde alle aspettative, ovvero se le quote sono sopravalutate? Oltre alla impropria distribuzione di utili ci si potrebbe trovare nelle condizioni che la Banca centrale sia costretta a una gestione (in rialzo) dei dividendi per sostenere il “valore di mercato (!?)” delle quote oppure, in alternativa a doverne svalutare il valore di bilancio della parte non collocata e dover contabilizzare delle minusvalenze di bilancio. In entrambi i casi si registrerebbe una ulteriore deduzione della retrocessione degli utili al Tesoro, una diminuzione del signoraggio a favore della collettività.

1 Il signoraggio è il reddito che l’ente pubblico ottiene per il potere di stampare moneta; nel presente caso è rappresentato dagli utili della Banca centrale ottenuti dai titoli fruttiferi acquistati con emissione di moneta legale (che, come noto, è sostanzialmente priva di costo).

I movimenti tornano in piazza il 12 aprile contro l’austerità europea


La protesta.  L’agenda di primavera presenta una fitta serie di date. Tra gli appuntamenti, il primo maggio noExpo a Milano e la contestazione del «consociativismo sindacale» al concertone in piazza San Giovanni a Roma
L’hanno chia­mata la «pri­ma­vera dei movi­menti sociali». Ini­zierà il pros­simo 12 aprile con una mani­fe­sta­zione nazio­nale a Roma. All’assemblea che si è tenuta dome­nica 9 feb­braio nella facoltà di fisica della Sapienza di Roma, i movi­menti hanno rilan­ciato l’intenzione di tor­nare ad «asse­diare i palazzi del potere» dopo le ormai lon­tane gior­nate del 18 e 19 otto­bre 2013. Nel report dif­fuso ieri in rete hanno voluto richia­mare l’attenzione sulle que­stioni dell’emergenza abi­ta­tiva, del red­dito e della bat­ta­glia con­tro le grandi opere, in gene­rale su una giu­sti­zia sociale che sem­bra ormai scom­parsa in un dibat­tito poli­tico nazio­nale con­cen­trato sulla legge elet­to­rale, oggi inca­na­lata nel per­corso par­la­men­tare, o sull’alternanza al governo tra i pesi mas­simi del Par­tito Demo­cra­tico: Enrico Letta, attuale pre­si­dente del Con­si­glio, e Mat­teo Renzi, segre­ta­rio Pd.
La data del 12 aprile era stata più volte annun­ciata durante le ultime mobi­li­ta­zioni in vista di un ver­tice euro­peo con­tro la disoc­cu­pa­zione gio­va­nile con­vo­cato dal governo. Il ver­tice è poi slit­tato, pro­ba­bil­mente a luglio, quando si aprirà il seme­stre euro­peo a guida ita­liana. In quell’occasione è stata annun­ciata un’altra mani­fe­sta­zione. L’assemblea di dome­nica scorsa ha scelto di man­te­nere l’appuntamento di aprile per­ché «non ci si può mobi­li­tare solo “in rispo­sta” a un ver­tice o altro appun­ta­mento isti­tu­zio­nale —  si legge sul sito contropiano.org  — Come se la sof­fe­renza sociale potesse mani­fe­starsi in tutta la sua dimen­sione poli­tica uni­ta­ria solo per con­tra­sto, di riflesso». L’obiettivo,  si legge sul sito InfoAut , «è una mani­fe­sta­zione con­tro l’austerità impo­sta dalla troika». Pro­ba­bil­mente que­sta sarà anche l’occasione per espri­mere uno, o più punti di vista sull’Europa in un dibat­tito ancora da istruire tra le reti poli­ti­che o sin­da­cali che hanno redatto l’agenda delle mobi­li­ta­zioni primaverili.
Il docu­mento finale è stato pub­bli­cato sui vari siti dei movi­menti, tra cui  Glo­bal­pro­ject  e  Abitarenellacrisi.org , il sito dei movi­menti romani per il diritto alla casa. Pre­senta molte date tra le quali spicca il primo mag­gio a Milano con­tro l’Expo 2015 (ini­zierà il 1 mag­gio 2015 e ter­mi­nerà il 31 otto­bre dello stesso anno). Per San Pre­ca­rio «la May­day 2014 sarà un grande momento di denun­cia e di aggre­ga­zione per tutti quelli che non par­te­ci­pe­ranno alla “festa dell’Expo”». Nelle contro-inchieste pub­bli­cate  sul blog del gruppo mila­nese  (e sul sito  noexpo.org milano-fiera.net ) quello che sta emer­gendo con l’Expo è l’aspetto di «mol­ti­pli­ca­tore finan­zia­rio e volano di  capi­tal gains  per le grandi imprese che hanno avuto i prin­ci­pali appalti». Tra l’altro, si intende con­te­stare l’accordo fir­mato dai rap­pre­sen­tanti dei sin­da­cati con­fe­de­rali con l’amministrazione dele­gato di Expo 2015 Giu­seppe Sala che pre­vede l’assunzione di 835 appren­di­sti e  la pre­senza di 18.500 volon­tari che dovranno alter­narsi in «atti­vità ausi­lia­rie» .
A Roma, sem­pre il primo mag­gio, è stata con­vo­cata una gior­nata di pro­te­sta dove il con­cer­tone di piazza San Gio­vanni sarà «messo in mora». Un’espressione ancora poco chiara, almeno rispetto ad un’azione di con­te­sta­zione con­tro il «con­so­cia­ti­vi­smo sin­da­cale», così viene defi­nita l’azione dei sin­da­cati con­fe­de­rali nel docu­mento. In agenda ci sono anche le mobi­li­ta­zioni del 15 feb­braio per la chiu­sura delCie di Ponte Gale­ria a Roma, quella del 16 con­tro il Cara di Mineo. Il 22 si annun­cia una gior­nata di lotta con­tro la repres­sione dei No Tav. Tra gli altri appun­ta­menti, un mee­ting a Napoli sui temi dei beni comuni e del reddito.

domenica 9 febbraio 2014

Tsipras: «Europa, cambieremo gli equilibri. E al Pse: i piccoli passi non bastano»

Fonte: Il Manifesto |
Autore: Daniela Preziosi                                     
«Vogliamo cam­biare gli equi­li­bri per cam­biare l’Europa. La nostra posi­zione è chiara. Il pro­blema sem­mai è dei social­de­mo­cra­tici che a parole cri­ti­cano l’Europa dell’austerità ma ne hanno con­di­viso tutte le scelte». Ieri, secondo giorno della tappa ita­liana del suo tour elet­to­rale, il lea­der greco Ale­xis Tsi­pras par­te­cipa all’esecutivo del par­tito della sini­stra euro­pea (Se) di cui è vice­pre­si­dente. 29 par­titi, ospiti di Paolo Fer­rero del Prc («Dob­biamo rom­pere la finta alter­na­tiva fra euro­pei­sti libe­ri­sti e destre anti-euro, due forme di oscu­ran­ti­smo. La scom­messa è unire tutti quelli che cre­dono in que­sto pro­getto»); fra gli altri ci sono Pierre Lau­rent del fran­cese Pcf, la spa­gnola Maite Mola del Pce-Izquierda Unida (che lan­cia un’iniziativa comune con­tro la legge anti-aborto del governo Rajoy), i diri­genti della tede­sca Linke e del Bloco de Esquerda por­to­ghese. L’esecutivo torna a riu­nirsi oggi, ma ha già annun­ciato per il 10 aprile un ver­tice a Bru­xel­les sul debito; e nomi­nato il gio­vane Fabio Amato, anche lui del Prc, coor­di­na­tore della cam­pa­gna per le europee.

Ancora gior­na­li­sti e ancora domande per il lea­der di Syriza che a Atene nel 2012 ha com­piuto il mira­colo di por­tare in pochi mesi la sua coa­li­zione dal 6 al 27 per cento (ora i son­daggi la danno sopra quota 30). E a Roma ha già com­piuto un altro mira­colo, altret­tanto incre­di­bile, far cor­rere insieme sotto le sue inse­gne le sini­stre ita­liane, par­titi movi­menti e asso­cia­zioni, fino a qui divise e schie­rate su fronti diversi ma chia­mate alla corsa da un gruppo di intel­let­tuali (Spi­nelli, Camil­leri, Gal­lino, Revelli, Viale, Flo­res D’Arcais). Lui ne è con­sa­pe­vole: «Siamo riu­sciti a supe­rare le dif­fe­renze. Ma non sono qui per fon­dare un nuovo par­tito euro­peo. Sono qui per unire e non per dividere».

Ma non evita il tema delle alleanze con i social­de­mo­cra­tici, che in Ita­lia come in Gre­cia come in Ger­ma­nia sosten­gono governi con le destre. Un tema deli­cato, in Ita­lia. La Sel di Nichi Ven­dola, che lo sostiene — oggi i due, Tsi­pras e Ven­dola, si incon­tre­ranno — si augura «il dia­logo con Mar­tin Schulz», il can­di­dato social­de­mo­cra­tico, avver­sa­rio nella corsa euro­pea. Tsi­pras spiega: «La sini­stra, noi, saremo la sor­presa delle euro­pee. Non so cosa intende fare Schulz dopo il voto. Per ora lui e Jun­ker (Jean-Claude, il lus­sem­bur­ghese can­di­dato dei popo­lari, ndr) rap­pre­sen­tano il vec­chio e le poli­ti­che del rigore che stanno distrug­gendo la demo­cra­zia e i diritti. Schulz è sim­pa­tico, so che ha sim­pa­tia verso alcune delle nostre posi­zioni, ma fin qui ha agito come cor­re­spon­sa­bile di que­sta situa­zione. Ora siamo anta­go­ni­sti, vedremo i risul­tati del voto. Aggiungo: è anche pos­si­bile che ora Schulz si muova verso le nostre posi­zioni. Ma non basta fare qual­che pas­setto per acca­par­rarsi la pre­si­denza della com­mis­sione. La situa­zione dell’Europa è dif­fi­cile. Ser­vono scelte radicali».

Oggi Tsi­pras incon­trerà il pre­si­dente del Lazio Nicola Zin­ga­retti (Pd) e il suo vice Sme­ri­glio (Sel).
Ma ieri nel pome­rig­gio il can­di­dato greco segna un altro gol salendo a Palazzo Chigi dove lo acco­glie Enrico Letta, il pre­mier, di ritorno da Sochi e nel pieno di una fibril­la­zione di governo. L’incontro dura tre quarti d’ora, nel salot­tino accanto allo stu­dio del pre­mier, quello dedi­cato ai col­lo­qui uffi­ciali, al primo piano. Letta pre­siede un governo di lar­ghe intese, e da espo­nente Pd si è schie­rato con il governo del con­ser­va­tore Sama­ras soste­nuto dal socia­li­sti del Pasok.

Tsi­pras spiega la sua agenda e le sue pro­po­ste sull’immigrazione per supe­rare il rego­la­mento Dublino 2. Letta, già pre­si­dente dei gio­vani del Ppe, ascolta, con­vinto che la poli­tica euro­pea è «poli­tica interna». Ma l’incontro, per niente scon­tato, segnala l’attenzione di Roma verso il lea­der defi­nito dal tede­sco Der Spie­gel «nemico numero uno dell’Europa» — e che invece pro­prio sull’europeismo ha bat­tuto molto in que­sta visita ita­liana. Un Tsi­pras dun­que per niente «iso­lato» nei paesi dell’Unione, come invece lo descrive Sama­ras. Un gio­vane che del resto ha le carte (e forse anche i voti) per diven­tare pre­sto pre­mier del suo paese.

Adam Smith, il comunista

di Valentino Parlato                                       
Lavoro cercasi/7 Il valore è prodotto dal lavoro del lavoratore, scriveva Adam Smith ne "La ricchezza delle nazioni". Una rilettura più che utile oggi
«Il prodotto del lavoro costituisce la ricompensa naturale, o salario, del lavoro. Nella situazione originaria che precede sia l'appropriazione della terra sia l'accumulazione dei capitali, tutto il prodotto del lavoro appartiene al lavoratore, che non ha né proprietario fondiario né padrone con cui spartirlo. Se questa situazione fosse durata, i salari del lavoro sarebbero aumentati insieme ai progressi delle capacità cui dà luogo la divisione del lavoro» (Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, 1776, ed. ital. Isedi, pag.65). Questo scriveva Smith, per sottolineare che il valore è prodotto dal lavoro del lavoratore e basta. Ma poi, o subito, sono arrivati il proprietario fondiario e il padrone che si sono appropriati di buona parte della ricchezza prodotta dal lavoro del lavoratore, imponendo un sottosalario padronale. Insomma anche il saggio Adam Smith era un po' comunista. E, nell'attuale stato di grave crisi dell'economia mondiale, bisognerebbe denunziare i danni prodotti da rendita e profitto e tornare a mettere in evidenza la lotta di classe, che oggi vede prevalere quelli che non lavorano e non producono.

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