Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 20 luglio 2013

Sindacato tedesco Dgb propone piano Marshall per l'Europa

Fonte: rassegna                
Il sindacato tedesco Dgb ha elaborato un Piano Marshall per l’Europa che è stato discusso nei giorni scorsi in un interessante seminario nella sede nazionale della Cgil ( scarica lo speciale di Rassegna Sindacale ). È di grande importanza che un’istituzione tedesca proponga un piano di sviluppo di dimensione paneuropea ed è ancora più importante che esso sia impostato lungo una linea sostanzialmente alternativa a quella del governo di Berlino. Alternativa sul piano dell’analisi, poiché assegna alla politica di austerità la responsabilità della depressione dell’area euro che ora comincia a riflettersi sulla stessa Germania.

Alternativa nella strategia proposta, che coincide largamente con le elaborazioni in corso nella Cgil dall’inizio della crisi, soprattutto a opera del Forum per l’economia, in particolare con l’appello dei 70 economisti e con il “Libro bianco” che ha alimentato l’elaborazione del Piano del lavoro lanciato di recente dalla stessa confederazione. Il Piano della Cgil è focalizzato sulla situazione italiana, quello tedesco mira direttamente alla dimensione europea.

Questo Piano targato Dgb si ricollega alla tradizione del grande riformismo , quello che dette risposta alla crisi degli anni trenta lanciando il Welfare State, le politiche dei redditi e le prime forme di programmazione economica. Esso, definendo lo Stato sociale “una forza produttiva” capovolge la menzognera vulgata che vede nell’eccesso di welfare la causa della crisi. Di più. Da questa visione riformista il Piano mutua due convinzioni. Lo scopo della crescita economica non è l’aumento della competitività, ma il benessere dei cittadini, anche se tale benessere deve oggi essere ridefinito alla stregua dei nuovi bisogni nel frattempo maturati.

Ancora: il ruolo principale della politica economica è quello di indurre il sistema economico a utilizzare tutte le sue risorse esistenti e potenziali, a cominciare dal lavoro. Anche per quanto riguarda il rapporto fra breve e lungo periodo l’approccio del Piano rovescia quello dei sostenitori dell’austerità. Per questi ultimi la contrazione dell’economia provocata dall’austerità è necessaria per creare le condizioni per il rilancio. La famosa “contrazione espansiva”. Schumpeter ha usato l’espressione “distruzione creatrice”; in essa il sostantivo è scontato: in crisi di questa portata, la distruzione è inevitabile ed in effetti è in corso; l’aggettivo è invece problematico, in quanto la fase creativa non nascerà da sé, ma solo se vi saranno una volontà e delle politiche orientate in quel senso; senza di esse la distruzione resta tale e può essere anche distruzione di capacità produttiva che non si potrà ricreare.

La connessione tra breve e lungo periodo nel documento è stabilita all’opposto. In entrambi i periodi, infatti, è necessario un sostegno della domanda: nella fase congiunturale con interventi pubblici, nel lungo periodo attivando un meccanismo complesso di finanziamento degli investimenti. Nei due casi l’impegno deve essere diretto verso investimenti pubblici e privati rivolti a migliorare il livello d’istruzione, la ricerca, le infrastrutture, la sostenibilità ambientale della crescita. Nessuna logica dei due tempi: entrambi gli interventi punterebbero a un nuovo modello di sviluppo nel quale elemento trainante della crescita della domanda dovrebbero essere gli investimenti e non i consumi privati e che dia corso a una crescita più sostenibile dal punto di vista ambientale e più suscettibile di utilizzare le enormi potenzialità dell’economia della conoscenza.

Esattamente la linea proposta dal “Libro bianco” del Forum della Cgil. L’intervento congiunturale potrebbe essere finanziato, in ipotesi, decidendo di dedurre dal calcolo del deficit dei singoli Stati determinate spese per investimenti, accettando un controllo dell’Unione europea. Quanto al finanziamento del piano decennale la proposta è di costituire un Fondo europeo per il futuro, che potrebbe mobilitare capitali privati emettendo “obbligazioni New Deal”. Si tratterebbe di finanziare investimenti per 260 miliardi di euro l’anno per dieci anni. L’ipotesi è realistica e si inserisce in una crescente attenzione della politica a livello mondiale sulla possibilità di utilizzare come leva dello sviluppo l’enorme quantità di asset presenti, per esempio, nei portafogli degli investitori istituzionali. Essi in Europa ammontano oggi a 14 trilioni, un trilione circa solo in Italia, in un quadro di notevoli difficoltà a fare investimenti nel contesto depressivo attualmente imperante.

Un’imposta sulle transazioni finanziarie potrebbe servire per contribuire a pagare gli interessi sui fondi investiti, mentre un’imposta patrimoniale di dimensione europea viene proposta per costituire il capitale del Fondo europeo per il futuro. I risultati previsti sono una maggiore crescita del 3 per cento l’anno del Pil dell’Unione e 11 milioni di occupati in più a tempo pieno nel decennio. Non è da escludere che con il clima di generale maggiore fiducia che ne conseguirebbe, i risultati possano essere ancora più positivi. Tutto questo, naturalmente, a condizione che la politica decida di salire sull’alta plancia per assumere la direzione dei processi economici.

Due osservazioni e una considerazione finale . L’unico punto per il quale la proposta del Dgb sembra resti tributaria dell’ortodossia economica tedesca riguarda la politica monetaria e il riconoscimento della sua indipendenza dalla politica fiscale, che comporta di escludere che essa possa servire come leva per la crescita e come difesa in una fase che resta caratterizzata dal fatto che in tutti i paesi dell’Unione il livello dei debiti – somma del debito privato e pubblico – è dall’inizio della crisi aumentato ed è a livelli da record storico. Rompere con l’ortodossia su questo punto significherebbe usare la grande produzione di nuova moneta, che in qualche misura la Bce sta già facendo, per attenuare la pressione sui debiti sovrani esercitata dai mercati attraverso gli spread, finanziare il rilancio congiunturale a costo zero, monetizzare in parte il debito e concorrere al finanziamento degli investimenti di lungo periodo: niente impedirebbe, per esempio, che il capitale e in generale le risorse del Fondo per il futuro vengano fornite dalla Bce se tale Fondo fosse costituito nella forma giuridica di banca, mentre il ricorso a un’imposta patrimoniale europea richiederebbe degli anni per essere realizzato.

La seconda osservazione parte dalla constatazione che questo programma, come quello della Cgil e in genere tutte le proposte provenienti dalla sinistra, punta sulla politica fiscale per ridurre le disuguaglianze e incentivare la produzione: spostare la pressione dal lavoro e dalla produzione verso la rendita e i patrimoni. Sacrosanto nel breve periodo, ma è impensabile che, lasciando che i mercati continuino nella loro naturale tendenza ad aumentare le disuguaglianze, si possa all’infinito contrastarla con il bilancio pubblico. Bisognerà alla fine individuare il modello che consenta di distribuire il prodotto tra capitale e lavoro in modo equo e confacente con le caratteristiche del nuovo modello di sviluppo e con la sua sostenibilità negli anni. A suo tempo, la risposta fu la politica dei redditi: il collegamento della dinamica salariale a quella della produttività media del sistema economico. Oggi forse non sarebbe praticabile, per lo meno non in un singolo paese, dato il livello di globalizzazione raggiunto e in quanto la produttività è un parametro meramente quantitativo, efficace per misurare la performance in un’economia fordista, non in quelle attuali. Porsi un tale problema porterebbe ad affrontare i temi dei sistemi contrattuali, dei modelli organizzativi delle imprese e della loro governance, del mercato del lavoro.

venerdì 19 luglio 2013

Il dividendo europeo

di Philippe Van Parijs
 
Se l'Unione europea vuole essere per i suoi cittadini più popolare di una burocrazia senza stato, se vuole essere percepita come un'Europa nella quale i cittadini possano identificarsi, allora occorre introdurre qualcosa di completamente nuovo: un reddito di base per ciascun cittadino, quale meccanismo di compensazione degli squilibri tra Stati
Criticare è facile, fare proposte è più difficile. Qui ce n'è una, semplice e radicale, ma - vorrei far notare - ragionevole e urgente.
Un Euro-dividendo come lo chiamerò. Si tratta di versare periodicamente un modesto reddito di base ad ogni cittadino legalmente residente nell'Unione europea, o almeno nel sottogruppo di stati membri che, o hanno adottato l'euro, o si sono impegnati a farlo. Questo reddito fornisce ad ogni cittadino una base minima universale e incondizionata, che può essere integrata da redditi da lavoro e da capitale, nonché da prestazioni sociali. Il suo livello può essere diverso per i diversi paesi a seconda del costo della vita e può essere minore per i giovani e maggiore per gli anziani. Esso potrebbe essere finanziato dall'imposta sul valore aggiunto. Per finanziare un reddito minimo di circa 200,00 euro al mese per tutti i cittadini europei bisognerebbe aumentare del 20% circa la base armonizzata dell'Iva dell'Unione europea corrispondente a circa il 10% del Pil europeo.
Perché abbiamo bisogno di un piano del genere così inusuale? Per quattro ragioni. La più urgente riguarda la crisi dell'eurozona. Come mai gli Stati Uniti sono stati capaci di progredire per molti decenni in presenza di una moneta unica pur in presenza di cinquanta differenti stati dai divergenti destini economici, mentre l'eurozona è in profonda crisi dopo appena un decennio? Da Milton Friedman ad Amartya Sen, gli economisti hanno continuato a metterci in guardia sul fatto che l'Europa è priva di quei meccanismi di compensazione che fungono negli Stati uniti da potenti sostituti dell’aggiustamento tramite la variazione del tasso di cambio tra i singoli stati.
Uno di questi è la migrazione tra gli stati. La proporzione dei residenti americani che si trasferisce in un altro stato in un dato periodo è circa sei volte superiore a quella degli europei che si spostano in un altro paese. Gli europei potrebbero diventare in qualche modo più mobili, ma le nostre nette differenze linguistiche impongono pesanti vincoli a una prospettiva - o speranza - di migliorare tale meccanismo. I disoccupati di Atene non si sposteranno mai tanto facilmente a Monaco, quanto quelli di Detroit ad Austin.
Un secondo potente meccanismo di assorbimento degli squilibri che è a disposizione della zona del dollaro è il sistema automatico di trasferimenti interstatali, risultato sostanzialmente di un welfare state organizzato e finanziato in larga misura a livello federale. Se il Michigan o il Missouri incontrano difficoltà economiche, esse non entrano in una spirale negativa. Non soltanto il tasso di disoccupazione è attenuato dall'emigrazione, ma, in presenza di una riduzione del prelievo fiscale e di un maggiore esborso delle prestazioni sociali, una quota crescente delle spese sociali viene di fatto finanziata dal resto degli Usa. A seconda della metodologia usata, la stima di questa compensazione automatica può variare fra il 20% e il 40%. Nell'Ue, invece, la possibilità di contenere la crisi di uno stato membro attraverso versamenti netti fra i diversi stati membri ammonta a meno dell'1%. Dati i minori effetti che ci si può aspettare dalle migrazioni interne, l'Eurozona non può permettersi di trascurare questo secondo meccanismo. Quale forma dovrebbe assumere? Non avremo, né dovremmo avere, mai un mega welfare state europeo. Ciò di cui abbiamo bisogno è qualcosa di più modesto, ben più semplice, basato su pagamenti forfettari e quindi più compatibile con il principio europeo di sussidiarietà. Per essere funzionale, la nostra unione monetaria deve dotarsi di nuovi strumenti. Uno di questi è un meccanismo di compensazione quale è un Euro-dividendo.
Il secondo motivo per cui abbiamo bisogno di un meccanismo di trasferimento transnazionale riguardante l'Ue come un tutto. Le diversità linguistiche e culturali dell'Unione rendono la migrazione fra stati membri non solo più costosa e quindi più difficile per gli individui, ma aumenta i costi e riduce i benefici per le comunità coinvolte. L'integrazione dei migranti nel nuovo contesto, sia economico che sociale, richiede più tempo, comporta maggiori risorse amministrative ed educative e crea tensioni più permanenti di quelle che si hanno nelle migrazioni all'interno degli Stati uniti. Quando i migranti più poveri affluiscono nelle aree metropolitane più ricche, l'impressione di essere invasi da masse difficili da gestire induce a costruire barriere e a rifiutare la circolazione delle persone libere e non discriminatoria. C'è però un'alternativa: organizzare un sistema di trasferimenti sistematici dal centro alla periferia. Le persone non devono più essere sradicate e costrette ad allontanarsi dai loro parenti e dalle loro comunità per il mero bisogno di sopravvivenza. Al contrario, le popolazioni devono essere sufficientemente rese stabili in modo che l'immigrazione sia gestibile nelle aree di attrazione e che i movimenti migratori non diventino deprimenti per le aree periferiche. Se l'Unione europea con libera circolazione interna intende essere politicamente sostenibile e efficiente dal punto di vista socio-economico, deve prevedere una misura quale quella di un Euro-dividendo.
Il terzo e più importante motivo: la libera circolazione del capitale, delle persone, dei beni e servizi attraverso i confini degli stati membri erode la capacità di ciascuno di tali Stati a garantire quelle funzioni redistributive che essi svolsero con tanto successo nel passato. Gli stati membri non sono più stati sovrani capaci di stabilire le proprie priorità in maniera democratica e di consolidare vincoli di solidarietà fra i propri cittadini. Sono invece sempre più costretti ad agire come se fossero aziende, ossessionati da standard di competitività, ansiosi di attrarre o di mantenere il loro capitale o le loro risorse umane, pronti a eliminare ogni spesa sociale che non possa essere alienata come investimento e a escludere ogni progetto che attragga i welfare tourists ed altri soggetti improduttivi. Non è più la democrazia che impone le sue regole sui mercati e li usa per i suoi scopi; è il singolo mercato che impone le sue leggi alle democrazie e le impone a dare la priorità alla competitività. Se vogliamo salvare i nostri diversi modi di organizzazione della solidarietà sociale dalla stretta della competizione sociale e fiscale, parte di questa solidarietà deve essere trasferita a un livello più alto. Il potere e la diversità dei nostri sistemi di welfare non sopravvivranno alla pressione criminale della competitività, a meno che il mercato unico europeo non operi sulla base di una misura come quella di un Euro-dividendo.
Infine, è importante per il buon funzionamento dell'Unione europea che le sue decisioni siano ritenute legittime, così che governi e cittadini non si sentano autorizzati ad aggirarle in qualche maniera. Diventa fondamentale che i cittadini percepiscano in modo concreto che l'Unione fa del suo meglio per tutti, non solo per le élites, per chi può spostarsi, per coloro che sono in grado di sfruttare le opportunità, ma anche per i più deboli, per gli emarginati, per le casalinghe. Bismarck garantì la fragile legittimità della Germania unificata istituendo il primo sistema pensionistico pubblico. Se l'Unione europea vuole essere per i suoi cittadini più popolare di una burocrazia senza stato, se vuole essere percepita come un'Europa che ha cura dei suoi abitanti e nella quale i cittadini possano identificarsi, allora occorre introdurre qualcosa di completamente nuovo: un Euro-dividendo universale.
Ci sono obiezioni ragionevoli a questa proposta? Naturalmente ce ne sono. Alcune riguardano, per esempio, l'opportunità di usare l'Iva per finanziare questo progetto. È vero, l'Iva è tra le maggiori imposte quella più europeizzata. Non sarebbe più giusto usare invece la Tobin tax o una carbon tax? Si potrebbe, ma tali tasse potrebbero finanziare, in un'ipotesi ottimistica, un livello di reddito minimo di circa 10-14 euro mensili. Perché non ricorrere allora ad una più rigorosa imposta progressiva sul reddito? Perché la definizione di imposta sul reddito varia da paese a paese ed è molto sensibile a livello politico. Inoltre l'attuale imposta sul reddito è, de facto, difficilmente più progressiva dell'Iva. Sommata alle aliquote nazionali, un’aliquota del 20% per la Vat non potrebbe risultare insostenibile? Non è necessario sommarla a aliquote Vat immutate: la spesa sociale degli stati membri sarà minore e i proventi delle imposte sul reddito maggiori quale diretta conseguenza della semplice presenza dell’Euro-dividendo.
Altri potrebbero obiettare che ognuna delle quattro ragioni sopra descritte potrebbe essere garantita da un sistema più complicato e sofisticato. Molti di questi argomenti saranno certamente corretti. La mia tesi è semplicemente che nessun altro possibile meccanismo è in grado di assolvere altrettanto bene le quattro funzioni, rimanendo al tempo stesso comprensibile per il semplice cittadino.
Un'obiezione più importante è che, per quanto siano desiderabili gli effetti sperati, sarebbe ingiusto dare ad ognuno del reddito in cambio di nulla. Questa obiezione si basa su un fraintendimento: il reddito minimo non coincide con l'iniqua distribuzione dei frutti del duro lavoro di qualcuno. Si tratta piuttosto di condividere fra i cittadini europei parte dei benefici recati dall'integrazione europea nella forma di un reddito modesto. Quanto risparmiamo per non aver condotto o preparato guerre contro i nostri vicini? Quanto guadagniamo per l’aumentata concorrenza tra le nostre aziende o per l’aver permesso ai fattori della produzione di muoversi in Europa laddove sono più produttivi? Nessuno lo sa e nessuno lo saprà, ma è certo che questi benefici sono distribuiti in maniera molto ineguale tra la popolazione europea, a seconda che si tratti di persone che si spostano o restano nel loro paese, a seconda che l'integrazione europea abbia reso il loro consumo meno caro o aumentato il valore delle loro capacità umane. Un modesto Euro-dividendo è semplicemente un modo diretto ed efficiente di garantire concretamente che parte di questi benefici raggiungano ogni europeo.
Non è un'utopia? Ovviamente lo è, ma nel senso in cui la stessa idea di un'Unione europea rappresentava un'utopia fino a non molto tempo fa, e anche nel senso in cui il sistema della sicurezza sociale era utopico prima che Bismarck provvedesse a metterne insieme i primi pezzi. Ma Bismarck non creò il sistema pensionistico in virtù del suo buon cuore; lo fece perché il popolo cominciava a mobilitarsi e a chiedere riforme sociali in tutto il Reich, che egli cercava di unificare. Cosa stiamo aspettando?
Questo articolo fa parte dell' EU Social Dimension expert sourcing project organizzato congiutamente da SEJ, ETUC, IG Metall, Hans Böckler Stiftung, Friedrich-Ebert-Stiftung e Lasaire.
Traduzione dall'inglese di Elisa Magrì

giovedì 18 luglio 2013

Amato (Prc): Syriza-Esf, uniti per il cambiamento

    
Amato (Prc): Syriza-Esf, uniti per il cambiamento

 

di Fabio Amato – Sono state giornate importanti quelle dello scorso fine settimana in Grecia. Syriza, che in greco è l’acronimo di coalizione della sinistra radicale, da raggruppamento federale di 13 differenti forze politiche si trasforma in partito politico unitario. Plurale, come è inevitabile che sia, ma con lo scioglimento delle organizzazioni che nel 2003 avevano dato vita a questa originale esperienza politica. E’ stato questo uno dei passaggi più delicati del congresso, che ha visto anche un vivace scambio di opinioni e di differenti posizioni fra Tsipras e una delle figure storiche di Syriza e della sinistra greca, l’eroe delle resistenza Manolis Glezos . Un’esperienza che ha negli anni combattuto prima per la propria sopravvivenza, contrastando i tentativi di normalizzarla e le sirene alleantiste con il Pasok (coerenza pagata con il prezzo di una scissione, quella di dimar, che avrebbe poi portato questi ultimi ad abbracciare pasok e nuova democrazia nell’attuale governo). Il Synaspismos era il partito più di gran lunga più grande, ma ha avuto l’umiltà e la capacità di unirsi alle tante formazioni della sinistra radicale ed extraparlamentare greca, formazioni maoiste, comuniste ed ecologiste radicali), utilizzando la spinta unitaria nata dalla crescita delle mobilitazioni antiliberiste e anticapitaliste, prima del movimento no global e dei fori sociali europei, e poi di quelle contro la austerità. Una coalizione che ha visto nelle doppie elezioni politiche greche dello scorso maggio giugno salire vertiginosamente i suoi voti. Se nel 2009, quando Papandreu e il Pasok vinserò con il 42%, Syriza e il synaspismos avessero ascoltato le sirene governiste e le proposte di alleanza nel centro sinistra, quel 4,6 % allora faticosamente raccolto non avrebbe potuto trasformarsi nel 16% e 27 % poi , che gli hanno consentito di diventare secondo partito greco, di superare prima e poi triplicare i consensi del Pasok , in caduta libera dopo il sostegno incondizionato alle politiche pro austerità.
Ma soprattutto, senza mantenere una chiara autonomia dal centro sinistra, Syriza non sarebbe potuta essere protagonista delle lotte sociali che si sono sviluppate in opposizione alle politiche di austerità e del memorandum (l’accordo con la troika), e che hanno visto Syriza e Synaspismos in prima linea, così come crescere la popolarità del suo giovane leader, Alexis Tsipras, alla guida del Synaspismos dal 2008.
Una leadership, la sua , cresciuta con i movimenti, da quando era segretario della gioventù di synaspismos, e da quando avevamo iniziato , dalla fine degli anni 90 e poi durante il movimento no global a stringere forti relazioni con i Giovani Comunisti. Relazioni poi rafforzatesi con la comune militanza nel Partito della Sinistra Europea, di cui Rifondazione comunista e Synaspismos sono partiti fondatori e di cui farà parte anche la neonata Syriza.
Una scelta importante, perché rimarca l’appartenenza al campo della sinistra di alternativa, quella che in questi anni ha resistito alle sirene della compatibilità al pensiero unico e al social liberismo imperante invece fra le forze del socialismo europeo. Quel social liberismo che ha portato al consenso bipartisan necessario alla costruzione su fondamenta liberiste, oligarchiche , filo atlantiste e antidemocratiche la costruzione dell’Ue.
E contro cui la sinistra Europea e le formazioni che ne fanno parte ,si battono sin dalla sua nascita.
Formazioni che in tutti i paesi in crisi stanno crescendo nei consensi arrivando a due cifre, come in Spagna IU e in Francia il Front de Gauche.
Nel congresso il dibattito centrale è stato, oltre a quello sulle forme organizzative, quello relativo al programma. Il maggior punto di differenza con la piattaforma di sinistra, che ha raccolto circa il 30 % dei consensi, è sulla questione relativa all’Euro e all’UE. Una divergenza sulla possibilità di riuscire ad attuare l’uscita dalle politiche del memorandum senza mettere in discussione l’appartenenza all’euro e all’UE.
La proposta maggioritaria, che ha avuto il 67%, è quella di disdire unilateralmente il memorandum e le controriforme sociali imposte per la sua attuazione, rinegoziare la questione del debito, con la cancellazione di una parte e ponendo la questione a livello europeo, essendo un problema non solo greco. Ma, viene poi precisato, difronte a possibili ricatti, minacce o rifiuto di ridiscutere da parte delle grandi potenze europee, Syriza dice chiaramente di essere pronta a eventuali diversi scenari, per garantire alla Grecia di rispondere alla catastrofe umanitaria prodotta dalla troika e dal neoliberismo, senza che il paese si converta in una colonia del debito e senza sacrificarsi sull’altare dell’euro. Ovvero un piano b qualora da parte tedesca ed europea dovesse esserci la completa sordità alle richieste di un governo a guida Syriza.
Perché comunque è a tema, in Grecia, la questione del governo della sinistra. Di una sinistra antiliberista e che mantiene come orizzonte strategico quello della costruzione del socialismo.
Una sinistra che può rappresentare per tutta l’Europa una speranza di cambiamento reale e profondo e di uscita dall’incubo dell’austerità e del capitalismo casinò che sta affamando i popoli d’europa.

La ‘Groika’ licenzia 25mila dipendenti pubblici. Tsipras: Sacrificio umano

    
La ‘Groika’ licenzia 25mila dipendenti pubblici. Tsipras: Sacrificio umano

Pubblicato in controlacrisi.org -

4.000 posti in meno a partire da settembre; tagli e cassaintegrazione per un totale di 25.000 lavoratori entro la fine dell’anno, soprattutto insegnanti e e agenti della polizia municipale. E’ la ‘scheda’ della legge approvata ieri dal Parlamento greco con 153 voti su 300. “L’intera categoria degli insegnanti si sente tradita. Stanno letteralmente smantellando la scuola superiore e questo è solo l’inizio” dice il rappresentante di un’associazione dei professori, che ieri sera hanno manifestato ad Atene insieme ad altre categorie di lavoratori listati a lutto. In ballo c’è lo sblocco di una nuova tranche di prestito di 7 miliardi di euro.
Samaras ha annunciato la riduzione dell’Iva nei ristoranti dal 23 al 13% a partire dal 1° agosto. Si tratta di una misura più che altro simbolica che mira a rappresentare un clima positivo in un paese al sesto anno di recessione e in cui la disoccupazione ha raggiunto il 27% mentre quella giovanile è ormai al cinquanta per cento. Ieri la Commissione europea ha dovuto smentire che vi sia un buco di 10 miliardi mentre il portavoce della Commissione, Simon O’ Connor, ne ha confermato uno tra i 2,8 e i 4,6 miliardi. Secondo la Commissione, l’economia dovrebbe contrarsi del 4,2% nel 2013, ma l’associazione imprenditoriale greca e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economica puntano su una riduzione del 4,8-5,0 per cento.
Insomma, settimane di scioperi e proteste sembrano non interessare il governo greco, che ascolta solo la troika (Fmi, Bce, Ue) e i suoi ricatti insopportabili per un popolo ormai alla fame. Infatti, va ricordato che queste ultime misure, così come le precedenti non meno socialmente pesanti, sono le condizioni di austerità imposte dalla troika per concedere alla Grecia i finanziamenti internazionali concordati.
Il leader della sinistra radicale Alexis Tsipras ha parlato di “sacrificio umano” definendo il progetto un “disastro”.

Crisi economica e suicidi in Italia

    
Crisi economica e suicidi in Italia

Pubblicato in

di Vittorio Daniele* – economiaepolitica.it -
In uno dei suoi studi più noti, “Le suicide. Étude de sociologie” (1897), Emile Durkheim propose una complessa relazione tra andamento economico e tasso dei suicidi. Secondo il sociologo francese, il tasso di suicidio tenderebbe ad aumentare non soltanto nel caso di crisi recessive, ma anche durante quelle “crisi di prosperità” che determinassero una situazione di “anomia”, ovvero un profondo turbamento dell’ordine sociale, di allentamento, disintegrazione dei legami che vincolano l’individuo alla società.
La recessione economica avviatasi nel 2007-2008, e le successive politiche di austerità adottate in Europa, hanno prodotto effetti negativi non solo sul tenore di vita, ma anche sulle condizioni di salute delle fasce sociali più deboli. In Grecia, per esempio, tagli alla sanità pubblica e crisi economica hanno ridotto l’accesso alle cure per i più indigenti e favorito la diffusione di alcune patologie infettive (Karanikolos et al. 2013). Diversi, poi, gli studi che tendono a confermare la tesi di Durkheim, di un legame, cioè, tra crisi economica e tasso di suicidio.
Un significativo aumento dei suicidi in Italia e Grecia è stato, per esempio, riportato da De Vogli, Marmoth e Stuckler (2012) e, per la UE, da Stuckler et al. (2009; 2011). Un’indagine condotta in Grecia su un campione di 2.256 persone ha stimato una crescita del 36% nei tentativi di suicidio tra il 2009 e il 2011 (Economou et al., 2011). Un lavoro sugli effetti della crisi e delle politiche di austerità sulle condizioni di salute delle popolazioni nella UE (a 15 e a 12 paesi), mostra come il 2007 possa essere considerato un punto di svolta nel trend dei suicidi: dopo un significativo declino, registrato nel periodo 2000-2007, il numero di suicidi è aumentato (Karanikolos et al. 2013). Non mancano, tuttavia, evidenze diverse. È il caso dei paesi Baltici in cui, nonostante la profonda recessione, i dati non mostrano un aumento significativo nei tassi totali di suicidio (Stankunas et al. 2013).
L’Italia è uno dei paesi maggiormente colpiti dalla recessione. Nel periodo 2007-2012, il Pil pro capite reale è diminuito, cumulativamente di 8,5 punti percentuali, mentre i tassi di disoccupazione sono passati dal 6,1 al 10,7 per cento. Come per altri paesi, anche per l’Italia i mass media nazionali e internazionali hanno riportato notizie riguardanti suicidi attribuiti alla crisi economica (New York Times, 2012). Per il periodo 1995-2010, l’Istat fornisce dati dettagliati sui casi di suicidio, disaggregandoli anche sulla base delle motivazioni dei suicidi, inclusi quelli dovuti a ragioni economiche. La Figura 1, riporta l’andamento dei tassi totali di suicidio nel periodo 1995-2010. Si può osservare un trend decrescente. Nel periodo 2003-2008, in particolare, il tasso di suicidi è calato, mentre l’impatto della recessione (post-2007) appare insignificante.
Se si considerano i soli suicidi attribuiti a motivi economici, si osserva un andamento notevolmente diverso. Dopo il 2007, il tasso di suicidio tende ad aumentare. Uno studio, basato su dati relativi al periodo 2000-2010, ha stimato per l’Italia 290 suicidi e tentativi di suicidio per motivazioni economiche dovuti alla recessione (De Vogli, Marmot e Stuckler, 2012).
Tra le variabili legate ai cicli economici, la disoccupazione è quella che risulta più strettamente legata all’andamento dei suicidi (Ceccherini-Nellie e Priebe, 2011). Nel caso italiano, se si considerano i dati annuali relativi al periodo 1995-2010, i tassi di disoccupazione non sembrano, tuttavia, essere correlati con i suicidi. Tra il 2007 e il 2010, il numero di suicidi è, tuttavia, cresciuto del 34% tra i disoccupati, del 19% tra gli occupati e del 13% tra le persone ritirate dal lavoro. È importante osservare, comunque, come per queste tre categorie, i suicidi siano diminuiti in tutto il periodo 1995-2008, per aumentare nei due anni seguenti.
I dati, disponibili fino al 2010, consentono di trarre solo indicazioni preliminari sull’andamento dei suicidi durante la crisi. In Italia, la recessione si è protratta fino al 2013, per cui trarre delle conclusioni sarebbe prematuro. Le differenze negli andamenti dei tassi totali di suicidio e di quelli dovuti a motivazioni economiche, suggeriscono, inoltre, come sia necessaria grande prudenza nell’interpretazione di un fenomeno così complesso come il suicidio.
* Università Magna Graecia di Catanzaro
Riferimenti
Ceccherini-Nelli A., Priebe S. (2011), Economic factors and suicide rates: associations over time in four countries, Soc Psychiatry Psychiatr Epidemiol., vol 46, 10, pp. 975-82.
De Vogli R., Marmot M., Stuckler D. (2012), Letter: Excess suicides and attempted suicides in Italy attributable to the great recession. J. Epidemiol. Community Health, jech-2012-201607, Published Online First: 2 August 2012.
De Vogli R., Marmot M., Stuckler D. (2013), Strong evidence that the economic crisis caused a rise in suicides in Europe: the need for social protection, J. Epidemiol Community Health 67:4 298 Published Online First: 15 January 2013 doi:10.1136/jech-2012-202112.
Durkheim E. (1897), Le suicide. Étude de sociologie. (trad. it., Il suicidio. Studio di sociologia, BUR, Milano, 2007).
Economou M., Madianos M., Peppou L. E., Theleritis C., Stefanis C. N. (2012), Suicidality and the economic crisis in Greece, The Lancet, vol. 380, 9839, p. 337.
Eurostat, Real gross domestic product per capita and unemployment rates, http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/search_database. Extracted on 06.06.2013.
Karanikolos M., Mladovsky P., Cylus J., Thomson S., Basu S., Stuckler D., Mackenbach J. P., McKee M. (2013), Financial crisis, austerity, and health in Europe, The Lancet, vol. 381, 9874, pp. 1323-1331.
ISTAT. Suicidi e Tentativi di Suicidio in Italia (Tavole 2000-2010). Istituto Nazionale di Statistica, Rome. Per l’anno 2012, si veda http://www.istat.it/it/archivio/55646.
New York Times (2012), Increasingly in Europe, Suicides ‘by Economic Crisis’, by E. Povoledo and D. Carvajal, April, 14, 2012.
Stankunas M., Lindert J., Avery M., Sorensen R. (2013), Suicide, recession, and unemployment. The Lancet, vol. 381, 9868, p. 721.
Stuckler D., Basu S., Suhrcke M., Coutts A., McKee M. (2009),The public health effect of economic crises and alternative policy responses in Europe: an empirical analysis. The Lancet, vol. 374, 9686, pp. 315-323.
Stuckler D., Basu S., Suhrcke M., Coutts A., McKee M. (2011), Effects of the 2008 recession on health: a first look at European data. The Lancet, vol. 378, pp. 124-125.
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martedì 16 luglio 2013

Siria,bufale-controbufale. Repubblica: solita figura

Posted on by Miguel Martinez

Quando Repubblica – o i media occidentali in generale – ci raccontano qualcosa della Siria, citano quasi sempre come fonte l’Osservatorio dei diritti umani in Siria, che suona come cosa assai seria e credibile.
L’Osservatorio consiste in un solo uomo. Un proprietario di un negozio di abbigliamento, tale Rami Abdulrahman, che abita in un piccolo appartamento a Londra.
Noi abbiamo solo la sua parola, per credergli quando sostiene di dormire appena quattro ore e mezza la notte, perché è sempre collegato con i suoi innumerevoli informatori virtuali sul campo.
Di sicuro, sappiamo solo che ogni mattina produce un comunicato che dà ai giornalisti ciò che vogliono: numeri. Tanti, tanti numeri.
In realtà, esiste un altro siriano a Londra che sostiene di essere lui il fondatore dell’osservatorio, e che “Rami Abdulrahman” non esiste: dice che si tratterebbe di un certo Osama Ali Suleiman, che avrebbe rubato le password del sito, impossessandosene.
Insomma, quasi tutto ciò che il teledipendente medio sa della guerra civile siriana dipende dalla fede che i gestori dei media hanno in questo misterioso signore londinese.
Ora, l’Osservatorio/studiolo londinese è decisamente antigovernativo e schierato con i ribelli.
Poi, una volta su mille, Repubblica ci presenta una notizia che porta il lettore a schierarsi invece contro i ribelli. E quando lo fa, ricorre a una bufala, che adesso esploreremo nel dettaglio.
Leggiamo sul sito di Repubblica questo drammatico titolo:

Libano, le donne spedite in Siria
costrette a fare sesso con i combattenti

E siccome siamo in Italia, la notizia è preceduta da una sorta di cartellino che indica il sentimento che il Buon Lettore deve provare mentre legge la notizia:
DIGNITA’ OFFESE
Ecco il succo della notizia, riportata da Mauro Pompili:
“BEIRUT - Donne di conforto per gli uomini dei gruppi jihadisti che combattono in Siria. È questa una delle ultime tragiche novità che arriva dal fronte siriano. Decine, forse centinaia, di giovani donne, è sufficiente che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età, sono reclutate in Tunisia e Somalia, trasportate clandestinamente in Siria e qui obbligate a concedersi ai miliziani che combattono le truppe di al-Assad per onorare il “jihad ennikah”, ovvero il “matrimonio con chi fa la guerra santa”.”
L’unica fonte citata è l’intervista che un certo Abou Koussay, “miliziano tunisino che ha combattuto ad Aleppo”, avrebbe rilasciato al quotidiano tunisino Assarih.
L’intervista esiste. Non sono riuscito a trovare l’originale (il sito di Assarih pare che sia attualmente inagibile a causa di hacker islamisti), ma da varie sintesi che compaiono su altri siti, ricostruisco che è stata rilasciata lo scorso 22 marzo: evidentemente il tempo che la notizia ci ha messo per arrivare da Tunisi a Beirut (come da misterioso incipit dell’articolo) e da lì all’orecchio di Mauro Pompili.
In questa intervista, che riguarda sostanzialmente la maniera pessima in cui i jihadisti tunisini vengono trattati dai loro compagni di avventura, si aggiunge che Abou Koussay
“ha anche confermato la presenza di 13 ragazze che si sono impegnate nel Jihad del Nikah, e chi le sovrintende non è altri che l’ex danzatrice della catena televisiva ‘’Ghinwa’’ nota come ‘’Oum Jaafer’’.”
Insomma, un’ex-velina ha organizzato un gruppo di amiche.
Mauro Pompili però allarga il discorso, introducendo una certa “Naada Gibrihil, portavoce di un’associazione di donne islamiche”. La grafia è assurda per chiunque abbia nozioni anche minime di arabo, ma persino cambiando il nome in qualcosa di più credibile (ad esempio “Nada Jibril”), non se ne trova traccia su Internet.
Comunque, da qui arriviamo alla vera e propria bufala:
“La fatwa assolve i miliziani e condanna le donne. L’abuso sulle donne è uno dei maggiori drammi in tutte le guerre. Per gli estremisti che stanno combattendo in Siria è, però, proprio il loro integralismo a complicare, almeno sul piano religioso, l’applicazione di questa pratica disumana. “La soluzione per loro è arrivata dall’Arabia Saudita, grazie allo Sceicco wahabita Mohammed al-Arifi – continua Naada Gibrihil – che ha fatto un appello per l’arruolamento delle donne per la jihad in Siria, e contemporaneamente ha emanato una fatwa (sentenza in materia di diritto religioso ndr) dal titolo: La jihad attraverso il matrimonio in Siria”. In questo modo dal punto di vista religioso è stata concessa liceità ai rapporti sessuali dei combattenti sul suolo siriano alla sola condizione che siano celibi o lontani dalle mogli.
Gli effetti devastanti della sentenza. Grazie alla fatwa possono contrarre un matrimonio della durata di un’ora, con donne non sposate o ripudiate. Soddisfatte le proprie necessità al miliziano sarà sufficiente ripetere per tre volta la formula rituale del ripudio per annullare le nozze. Così un altro combattente potrà sposare la stessa donna, e il gioco atroce si continuerà a ripetere. Per di più non è necessario che la donna acconsenta al matrimonio temporaneo”. Gli effetti di questa sentenza sono devastanti anche per tutte le donne delle zone di guerra. “Grazie alla stessa fatwa, si possono stuprare le donne siriane. Basta sposarle temporaneamente anche contro la loro volontà. Sappiamo poco dalla Siria, quel poco ci fa pensare a migliaia di donne che hanno subito questo stupro religiosamente lecito”.
Il “matrimonio a tempo”, zawâj al-muta’ah, è un curioso istituto, ammesso in alcuni ambienti sciiti, che permette una convivenza provvisoria, senza necessità di autorizzazione delle rispettive famiglie di origine. Secondo alcuni imam permette a una coppia di conoscersi e decidere se fondare su basi più permanenti il loro rapporti; ma può anche diventare una forma di prostituzione – anche se allo scadere del matrimonio, la donna non può risposarsi per due cicli mestruali, e quindi non ci si potrebbe certamente costruire su un’industria.
Da secoli i sunniti inveiscono contro questa usanza, simbolo dell’erotica perversione degli sciiti: la storia delle polemiche tra correnti islamiche è imbevuta sin dalle origini di accuse a sfondo sessuale di varia natura, in cui comunque gli “eretici” (e quindi gli sciiti) fanno sempre la figura dei libertini che non sanno far rigare dritto le donne.
Ora, Mohammed al-Arifi, il predicatore saudita cui si attribuisce la fatwa, è un esaltato predicatore saudita, che vanta 3,5 milioni di seguaci su Twitter e 1,4 su Facebook – mai confondere islamismo estremista con tecnofobia.
Da anni, conduce una campagna rumorosa di istigazione alla violenza contro il governo siriano e – appena più indirettamente – contro gli sciiti.
Nel dicembre del 2012, la televisione libanese al-Jadid inizia a far girare l’immagine di un presunto tweet, attribuito al canale Twitter dell’e-predicatore:
Un falso evidente, vista che il numero di caratteri supera i 140 ammessi su Twitter. E comunque è stato smentito più volte dallo stesso predicatore.
Ora, è istruttivo seguire la diffusione del falso.
Innanzitutto, viene ripreso, senza particolare seguito, dalla TV iraniana, evidentemente interessata a screditare i nemici della Siria.
Contemporaneamente, lo riprendono, con ben altri intenti, i media neocon e islamofobi, a partire dal sito RadicalIslam.org, che appartiene al Clarion Fund, che come abbiamo visto è a sua volta un’emanazione dell’organizzazione sionista di destra, Aish Ha-Torah, quella che finanziò la diffusione di ben 28 milioni di DVD del film Obsession nelle case statunitensi.
Dal sito RadicalIslam.org, che possiamo dire di “destra”, la notizia passa a “sinistra”, quando la riprendono vari siti progressisti, da Salon a Alternet, questa volta presumibilmente in base al principio, “se qualcosa ferisce la dignità delle donne, deve essere vero”.
E così, il falso inizia a viaggiare per tre canali politici diversissimi – i sostenitori del laico governo siriano, i fallaciani antislamici e femministe e progressisti vari.
Perché dentro quei canali, scorre un’irresistibile onda di pettegolezzo erotico, in grado di travolgere anche i più potenti castelli dei predicatori fesbuchiani e tuitteranti.

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